“Dovrei essere il papà più arrabbiato del mondo. Ma ho fede, non provo rancore”. Così titolava, ieri, l’Eco di Bergamo. Il papà che dovrebbe essere il più arrabbiato del mondo è Bruno Verzeni, il papà di Sharon Verzeni, la giovane, originaria di Bottanuco, vittima del misterioso assassinio di Terno d’Isola. “Il nostro è un dolore molto grande, con un mare di lacrime, e fazzoletti consumati, ma mi sento in pace e lo stesso mia moglie”.
Le affermazioni di Bruno Verzeni sono insieme lucide e profetiche. Dicono quello che c’è e che tutti capiscono, ma hanno il coraggio di dire anche quello che non c’è e che pochi capiscono.
Di fronte all’assassinio brutale e inspiegabile di una figlia si chiede, di solito, giustizia. Ma i modi, lo stile corrente della richiesta rivelano un’idea di giustizia che viene intesa, soprattutto, come punizione esemplare dell’assassino. Molta gente spinge fino in fondo questa logica chiedendo la pena di morte a chi procura una morte e una morte così, soprattutto. Tutto questo è profondamente umano e, in fondo, spiegabile.
Nelle nostre società democritiche, però, ci siamo messi d’accordo di delegare a un sistema “altro”, diverso dai singoli e dai gruppi, la messa in atto di questa punizione. Non mi faccio giustizia da solo, ma chiedo che il sistema giudiziario a farlo. Non solo, ma in quasi tutte le società democratiche occidentali, ci siamo messi d’accordo di evitare di infliggere la morte come punizione. Dunque, il nostro sistema punitivo resta sbilanciato, doppiamente sbilanciato: perché non siamo noi a punire e perché la punizione si ferma a un certo punto: niente pena di morte.
Il sig. Bruno Verzeni ha detto un’altra cosa. Riconosce che l’assassinio della figlia gli chiederebbe di essere “il papà più arrabbiato del mondo”. Ma lui ha risposto che no: non vuole essere arrabbiato. Anzi, ha aggiunto, sorprendentemente, di sentirsi in pace, lui e sua moglie. Addolorato, ma non arrabbiato. Poi ha accennato alla fonte di questo strano, impopolare atteggiamento e ha parlato della sua fede. E si capisce di che fede si tratta. Quella che si trova scritta nei testi che Bruno Verzeni, evidentemente, ha assimilato molto bene. “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra… Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Matteo 5, 38-39. 43-44).
Riconosce, dunque, che dovrebbe essere arrabbiato: i motivi per esserlo ci sono, in abbondanza. Ma ha deciso di non esserlo: “Sono in pace”. E ‘ il suo atteggiamento profetico. Ha chiesto, anche lui, che la giustizia faccia il suo corso. Ma, con queste premesse, lo ha chiesto non per infliggere una punizione, anche perché nessuna punizione gli potrebbe restituire Sharon. Ma per evitare che quell’assassino e altri come lui, possano continuare ad ammazzare gente innocente e a far consumare fazzoletti per asciugare un mare di lacrime a un padre e a una madre che chiedevano soltanto, per sé e per la loro figlia, di essere felici.