Le Olimpiadi di Parigi, che si sono svolte nelle ultime due settimane, hanno messo in mostra non solo l’abilità atletica, ma anche il notevole spirito di sostegno umano. In un’epoca dominata dalla tecnologia e dalle ansie per la sostituzione delle macchine, l’intensità e la determinazione di questi atleti servono come potente promemoria delle nostre qualità umane uniche. Osservare le espressioni concentrate degli atleti mentre si preparano a competere offre una visione avvincente della forza e della determinazione umana.
Non sono mancate polemiche che andavano oltre lo sport, in particolare riguardo all’atleta algerina a Imane Kalif cui si voleva negare il diritto di partecipare. A questa controversia hanno impropriamente partecipato la Presidente del Consiglio e il Presidente del Senato. Tuttavia, al di là di questi episodi, che mostrano solo il timore di accogliere le diversità proprie di ogni persona, si è visto il formarsi di un sorprendente cameratismo tra gli atleti, a dimostrazione che il vissuto reale va ben oltre le visioni e gli interessi delle parti politiche, esemplificando la vera sportività.
Le Olimpiadi, pur con i loro limiti, sono riuscite a offrire una chiara rappresentazione della natura umana. In primo luogo, evidenziano che l’umanità è composta da uomini e donne che nelle competizioni sono comunemente tesi alla perfezione. Gli esseri umani sono tutti spinti da un’ineguagliabile ricerca del miglioramento, andando oltre i traguardi del passato. Questo non può essere visto solo nel raggiungimento di alcuni obiettivi, ma anche e soprattutto come un cammino verso la conoscenza di sé e degli altri, intraprendendo un profondo viaggio di esplorazione interiore.
In questi tempi si parla molto di eccellenza, ma questo discorso viene spesso sminuito quando l’eccellenza è usata per separare le persone, dimenticando che in ognuno di noi ci sono doti e capacità che portano verso l’eccellenza. Questa non può essere misurata solo in termini di valore economico. Ridurre tutto al parametro del merito economico e assegnare distinzioni significa ignorare che l’eccellenza risiede in ogni singola persona. Farla emergere richiede una raffinata capacità mentale, una profonda comprensione delle soggettività che incontriamo e la capacità di rimanere costantemente avvolti in un sogno ad occhi aperti, l’unico modo per rendere concreto ciò che ancora non è in grado di esprimersi.
Gli atleti olimpici sono l’immagine di chi scruta il presente cercando di intravedere nella quotidianità ciò che ancora è nascosto e può essere svelato e perseguito, anche superando quelli che si considerano i limiti per affrontare la sfida del possibile.
Le Olimpiadi ci insegnano che viviamo in un mondo più grande di quello in cui siamo racchiusi e che cerchiamo di raffigurare con le nostre bandiere. Nel loro sventolio olimpico, queste bandiere finiscono per mettere in mora la visione chiusa dei nazionalismi, mostrandoci la diversità come qualcosa di bello.
È la bellezza delle differenze che fa parte della ricerca dell’eccellenza. È importante che la fatica, la sofferenza e la perdita conquistino la scena perché ci evidenziano che la vita non è un gioco ludico in cui ci si diverte solamente, ma che il vivere è condito dal soffrire, dalla fatica, dal penare. Questo può essere mitigato dalla squadra e dai propri tifosi, in una parola dalla vicinanza degli altri.
In questo nostro tempo in cui i mass media ci subissano con notizie di guerre che sembrano interminabili e che stanno ammorbando il mondo e i nostri pensieri, le Olimpiadi rappresentano un faro di speranza e unità.
È estremamente significativo e assume il senso di un’icona vedere atleti provenienti dai sette continenti allinearsi, fianco a fianco, perseguendo gli stessi obiettivi. Sembra quasi che le differenze politiche, lo status economico e i conflitti in corso vengano messi da parte per celebrare le conquiste umane. Tuttavia, è doloroso pensare che questo sia solo una rappresentazione di come potrebbe essere l’unità del mondo, mentre fuori dagli stadi, dalle piscine e dai palazzetti, l’odio, la disuguaglianza e la prevaricazione non abbandonano le loro prede.
Negli occhi, anche se disincantati ma non scettici, continuiamo a vedere, come attraverso una filigrana, lo spettacolo di un desiderio, di una speranza, di una possibilità. Ecco perché, a mio parere, le Olimpiadi ci hanno dato molto di più della semplice competizione atletica. Sono state lo specchio riflettente la nostra umanità condivisa, la nostra spinta all’eccellenza, il nostro bisogno di comunità e il nostro potenziale di unità. Le imprese sportive ci ricordano che uomini e donne sono capaci di cose memorabili, di primati sempre superabili, ma anche di sostegno collettivo per la loro realizzazione.
Mentre assistiamo a queste straordinarie imprese di realizzazione umana, ci viene ricordata la nostra capacità di grandezza e il potere del sostegno collettivo nel realizzare il nostro pieno potenziale.
Il riscaldamento globale, la diminuzione delle risorse naturali, la sovrappopolazione, le pandemie, il confronto latente Nord-Sud, la crescente nuclearizzazione delle nazioni, le crisi finanziarie, i conflitti in Ucraina, in Africa e nel Medio Oriente e altrove, ci dicono che siamo passati dall’ottimismo progressista che ha caratterizzato la vita sociale dei primi novant’anni del secondo dopoguerra a un mondo che si presenta meno sicuro e attraversato da una molteplicità di incertezze e insicurezze. Possiamo assistere passivamente a tutto questo? Possiamo essere semplici spettatori?
Possiamo essere semplicemente spettatori di una partita di tennis, che girano la testa a destra e a sinistra mentre seguono la palla restituita dai giocatori che sono in campo? L’impressione e che viviamo questa passività con rassegnazione e comodità e non ci poniamo il problema di quale mondo stiamo delineando per i nuovi abitanti del pianeta.
Non bisogna cedere a pessimismo passivo che ci circonda ma rilanciare con forza il tema di una speranza che alimenti l’azione sociale e politica, ma sopratutto con l’istruzione e la ricerca scientifica che giocano un ruolo fondamentale. Il futuro che creiamo dipende in gran parte dal calibro degli individui che lo plasmano.