La politica riprenda il suo primato

La mancia ai più ricchi
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Nel dopo guerra si è scelta la libertà e, con essa, il mercato. Ma anche le sue anomalie.
Il governo Meloni sembra credere più alla politica della forza che alla forza della politica.
Non bastano più piccoli aggiustamenti

La prepotenza dell’economia condiziona la politica

Da tempo ormai sono convinto che il nodo primario della vita politica attuale (che è anche nodo etico) è la sudditanza che la politica patisce da parte dell’economia (oggi specialmente nella sua versione di finanza). 

Fin dalle origini della polis si affermava che la politica era attività principe e architettonica tra tutte le attività umane, perché aveva come fine il bene comune della persona (cioè dell’individuo umano relazionato) e lo realizzava mettendo in ordine gerarchico tutti i singoli elementi costruttivi (come fa l’architetto con le varie parti strutturali). Ora non è più così. Constatiamo infatti tutti i giorni l’impotenza della politica a governare le situazioni e assistiamo ad un passaggio di potere dalla politica all’economia che fa valere con prepotenza le sue leggi, che invece dovrebbero essere serventi alla politica. Come è potuto accadere questo stravolgimento?

La scelta della libertà. Il “libero mercato” e la ingiusta distribuzione delle ricchezze

Si dovrebbe fare una lunga analisi storica  Qui ci limitiamo a sottolineare alcune linee portanti del processo. Dopo il secondo conflitto mondiale la politica italiana ha sposato, giustamente, la scelta occidentale di libertà, ma con essa ha dovuto accettare anche la (meno giusta) linea liberistica, che affidava la realizzazione del bene comune al principio economico della libertà del mercato: linea a tutt’oggi imperante e diventata unica dopo la caduta dell’impero statale comunista. Questa ha prodotto una grande ricchezza che si è diffusa nei cittadini. Si è diffusa però in modo disuguale, concentrandosi di più in poche mani, a volte meritevoli, ma il più delle volte favorite da condizioni di partenza o da spregiudicatezza. La politica poco o nulla ha fatto per distribuire meglio quella ricchezza, e si è accontentata di quel consenso che le veniva dal fatto che quella ricchezza aveva comunque lasciato cadere le sue briciole anche sui tanti, che ne hanno partecipato ed hanno migliorato le loro sorti. 

Il benessere, lo Welfare. Ma non solo

Sicché si è realizzato un benessere materiale diffuso che ha valorizzato il potere dell’economia ai fini del bene comune, che è stato sempre più inteso come possesso quantitativo di beni materiali. E se la politica tentava di porre qualche timida regola ridistributiva (controlli sul lavoro, tasse…), si parlava di attentato alle regole dell’economia che con l’imposizione di “lacci e lacciuoli” ne avrebbe rallentato lo sviluppo. Meglio lasciare fare al mercato, che aveva dato buona prova. 

Il potere politico non riesce a governare la situazione. Il fisco non basta

La politica postbellica è riuscita comunque con quelle risorse a creare le strutture d’uno Stato sociale (Welfare), ma si è lasciata sedurre dalla logica della crescita quantitativa, confidando comunque in una crescita di tutti e traendo vantaggi da uno scorretto rapporto con il potere economico che la sosteneva, anche finanziariamente, e per lo più in maniera illecita. Ne è derivato sempre più il convincimento che la politica fosse attività parassitaria e corrotta (il che si è mostrato in parte vero) e addirittura nociva e che il mercato fosse l’unica forza salvifica (il che non era altrettanto vero).

Il conflitto tra i due poteri si risolveva quindi a vantaggio dell’economia. Fino a quando la torta cresceva e parti più o meno grandi ricadevano comunque su tutti, la politica si sentiva esonerata e, anzi, diffidata da porre problemi di redistribuzione mediante lo strumento fiscale. Ma così la forbice delle disuguaglianze continuava a crescere fino a diventare scandalosa e il potere politico perdeva sempre più i mezzi per sostentare lo Stato sociale. Quando poi sono sopraggiunte le crisi (dell’energia, della finanza, dell’immigrazione dell’epidemia, della guerra) e la torta è calata, le disuguaglianze sono state esaltate ed hanno sempre più fatto sentire la loro iniquità. Mentre lo Stato, che non si era potuto o voluto attrezzare per raccogliere le sue risorse, non aveva più mezzi per intervenire. 

La politica della forza

Siamo a noi ormai. Siamo in una fase storica che qualcuno (C.Crouch), con ottimi motivi, propone di chiamare addirittura postdemocrazia. Quando la libertà della  scelta politica sembra diventare una illusione. E in queste condizioni c’è, purtroppo, chi crede ancora che il mercato libero possa salvarci, quando sempre più chiaramente stiamo vedendo che esso salva i ricchi e che nessuna briciola cade ora dalla loro mensa. Altri cominciano sì magari a perdere fiducia nel mercato, ma non acquistano ancora la fiducia nella politica, che si giudica ormai perdente di fronte alle forze del mercato. E sospettano ancora che ogni intervento della politica, anche perequativo, finisca con il “mettere le mani nelle loro tasche” non a migliorare le sorti di tutti. L’astensionismo alle urne è segno evidente della permanenza di questa crisi di fiducia. 

Per uscire dalla stretta occorre quindi che la politica riprenda credibilità  Ma la credibilità oggi punta sul dato formale visibile della “forza”, che pure è necessaria alla politica per resistere alle altre istanze. Infatti oggi si tende a premiare il potere (e l’uomo, o la donna) forte o, meglio che si presenta come forte. Ma non basta la forza (né tanto meno la sua parvenza) se essa vuole combattere accettando le logiche del mercato. 

Il governo rischia di ridursi a usare la forza con i deboli e a godere dei dollari di Musk

È quello che sta succedendo al cosiddetto Governo forte italiano. Nato per controllare il declino, sbaglia la strategia se crede di fermarlo con le stesse logiche che presiedono al declino: cioè con le leggi del mercato libero. Contro di esse la sua forza sarà spuntata, perché sarà facilmente soggiogata da un potere più avvolgente e mondiale. Si ridurrà perciò ad esercitare la forza con i deboli (diventando autoritario e non forte) e ad essere prono di fronte al bacio di Biden (ora di Trump) e al profumo dei dollari di Musk, cioè di fronte alle potenze internazionali e mercantili che sono quelle decisive.

Il coraggio che manca: andare in controtendenza

Come uscire da questo vicolo cieco? Come ridare credibilità e vitalità alla politica perché prenda il primato che le spetta sulle altre dimensioni, e prima di tutto sull’economia? Non bastano proposte di semplici aggiustamenti interni al sistema. C’è bisogno di una politica che abbia il coraggio di porre un programma chiaro di scelte drastiche in controtendenza: prima di tutto una seria e rigorosa riforma fiscale progressiva, dove chi più ha più deve dare, onde equilibrare lo squilibrio di ricchezza e trovare le risorse per rilanciare, sia pure in nuove forme, lo Stato sociale intorno a problemi cruciali: la sanità, il lavoro, la formazione, la sobrietà, il rispetto del mondo, la pace. Anche sulla pace, sì, occorre essere drastici: va perseguita per prima, perché è scelta previa al bene comune. 

Solo un eccesso forte potrà fare riacquistare primato alla politica

Oggi un vero spazio politico può conquistarlo non una forza che cerca il centro moderato, ma quella che propone provvedimenti precisi, giudicati radicalmente antisistemici dalla logica imperante del libero mercato. E solo un eccesso forte sarà la vera moderazione dell’eccesso mercantile e potrà fare riacquistare primato alla politica, riaccenderne il gusto e avere alla lunga il consenso. Sarà comunque arduo, perché le forze mercantili dell’uomo unidimensionale saranno dure a morire. Ma sarà comunque una battaglia degna di una umanità che vuole salvare se stessa nella sua dimensione totale e il mondo, in cui vive e che Dio le ha affidato da coltivare e da custodire. Mentre il potentato economico si defila dagli incontri di tutela del cosmo.  

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