Si continua a parlare della crisi e della guerra fra Israele e Hamas. Una delle realtà che, in occasione di questa nuova guerra, impressiona di più è l’inconsistenza della democrazia dall’una e dall’altra parte dei contendenti.
Si dice che in Israele regna la democrazia e spesso si confronta la vivacità democratica di Israele con la staticità della comunità palestinese. Bisognerebbe capire che cosa significa che la democrazia regna in Israele.
Dal 2019 al 2022 Israele ha affrontato cinque elezioni politiche: cinque in meno di quattro anni. Dunque, in Israele si vota e ci sono delle leggi che regolano il voto e le sue risultanze. Ma il sistema gira a vuoto. Non basta avere una legge se la legge non funziona.
Nelle zone controllate dall’Autorità Nazionale Palestinese la situazione è ancora peggiore. Le uniche elezioni parlamentari sono state quelle del 1996 e del 2006. Poi più nulla.
Quelle presidenziali del 1996 hanno portato al potere Yasser Arafat. Alla morte di Arafat nel 2005 si sono tenute nuove elezioni presidenziali che hanno visto vincitore Abu Mazen. Poi, anche qui, più nulla.
Abu Mazen resta al suo posto e niente di nuovo si vede all’orizzonte. Si sta andando, dunque, verso i vent’anni senza elezioni politiche e senza elezioni presidenziali.
Di conseguenza, la zona forse più calda del pianeta conosce un preoccupante vuoto di democrazia e di corretto esercizio del potere. In Israele è una inquietante, endemica debolezza. In Palestina è un vuoto che lascia spazio alle violenze di Hamas.
Mezzo mondo è ostaggio di regimi politici che non sono all’altezza, che non sanno governare, che governano male, che non governano. In Occidente c’è chi sta da una parte e chi sta dall’altra.
Ma da qualunque parte si stia si ha la sensazione di essere da nessuna parte, di trovarsi, politicamente parlando, in uno di quei “luoghi” che Marc Augé chiama i “non luoghi”, come stazioni e aeroporti, dove si passa ma dove non si può e non si riesce a restare.
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Rocchetti