Medio Oriente in subbuglio. Che fare?

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Certamente la stragrande maggioranza di noi si sarà angosciosamente posta questa domanda davanti alle terribili vicende accadute in Palestina, sabato 7 ottobre e, purtroppo anche nei giorni seguenti. E non è certo finita

Palestina luogo del cuore

Molti bergamaschi sono stati come me in Israele e anche in alcune zone dell’Autorità palestinese, luoghi che appartengono anche a noi, come cristiani e come credenti.

Parecchi hanno conosciuto lì persone o ne hanno incontrate, provenienti dall’Italia e andate a vivere nella Terra di Gesù.

La Palestina è un luogo del cuore.

Lo è anche per tutti gli Ebrei del mondo, contro i quali il razzismo non è ancora finito: – è molto rassicurante – disse una signora bergamasca ebrea che era in pellegrinaggio con me, una volta- è rassicurante che ci sia uno stato per gli Ebrei, perché è un posto sicuro dove potrei fuggire, se le persecuzioni dovessero ricominciare.

E proprio lì, pochi giorni fa, sono accadute scene terribili, uguali a quelle che abbiamo letto nei libri o sentito dai testimoni, come nella Shoah.

Un vero colpo al cuore, una mazzata terribile e inaspettata.

La politica scriteriata di Netanyahu

Tuttavia, pensando come gli storici, che ricostruiscono i fatti a partire dall’accaduto, più di qualche ragione perché si verificasse qualcosa di simile, c’era.

La politica scriteriata di Netanyahu, alleato con i gruppi ultraortodossi, un uomo aggrappato al potere per difendersi dalla giustizia che lo incalza, che ha diviso gli Israeliani e manipolato l’esercito, inviandolo, tra l’altro, a guardia dei suoi amici fondamentalisti, invece che a protezione dei cittadini.

Un popolo diviso, che scende in piazza contro il suo governo, è debole e meno difeso.

I dirigenti palestinesi arruffoni e disonesti

E i Palestinesi? Danneggiati da una classe dirigente arraffona e disonesta, chiusi tra un muro e il mare a Gaza, cresciuti nella povertà a pane, odio e paura… perché non credo che i miliziani di Hamas siano teneri, neanche con loro.  Hanno usato risorse preziose per la popolazione comprando armi e costruendo tunnel, non per ospedali, scuole e sviluppo.

Accenno poi solo di sfuggita a paesi come l’Iran, a cui il caos internazionale fa gioco per distrarre dalla terribile situazione interna creata dalla sanguinosa dittatura religiosa, o come Putin, bisognoso che si parlasse d’altro piuttosto che di lui e dell’Ucraina.

O il tentativo di accordi negoziati dai diplomatici USA, quel Patto dei figli di Abramo che avrebbe potuto, pur tra mille difficoltà, fare un passo verso la pace e il riconoscimento di due stati in Palestina. 

E Il Libano? E La Siria? Troppi, troppi hanno interesse a farlo saltare.

Mentre scrivo mi viene solo da piangere.

Che fare? 

Innanzi tutto, credo, pregare.

Poi mi viene in aiuto il ricordo di un incontro che il nostro gruppo di pellegrini fece a Gerusalemme, con Lorenzo, un monaco dossettiano , che viveva lì, (oggi è chiuso in casa a Gerusalemme, appena tornato dall’Italia per guidare un gruppo di persone) e che andava a cena con ebrei e a cena con palestinesi, ma non era ancora riuscito a mangiare con entrambi, contemporaneamente, insieme.

Che fare?,  gli avevo chiesto, un po’ depressa.

Lorenzo aveva stretto appena le spalle, – Niente. Cosa fare quando entrambi hanno ragione? Esserci, stare vicino, aiutare, fare quello che si può-.

Non è necessario essere contro; per essere amico, non è necessario avere un nemico.

Ecco. Alziamo le antenne del cuore, cerchiamo piccole occasioni, inseguiamo la pace.

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Rocchetti

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