Molti bergamaschi sono stati come me in Israele e anche in alcune zone dell’Autorità palestinese, luoghi che appartengono anche a noi, come cristiani e come credenti.
Parecchi hanno conosciuto lì persone o ne hanno incontrate, provenienti dall’Italia e andate a vivere nella Terra di Gesù.
La Palestina è un luogo del cuore.
Lo è anche per tutti gli Ebrei del mondo, contro i quali il razzismo non è ancora finito: – è molto rassicurante – disse una signora bergamasca ebrea che era in pellegrinaggio con me, una volta- è rassicurante che ci sia uno stato per gli Ebrei, perché è un posto sicuro dove potrei fuggire, se le persecuzioni dovessero ricominciare.
E proprio lì, pochi giorni fa, sono accadute scene terribili, uguali a quelle che abbiamo letto nei libri o sentito dai testimoni, come nella Shoah.
Un vero colpo al cuore, una mazzata terribile e inaspettata.
Tuttavia, pensando come gli storici, che ricostruiscono i fatti a partire dall’accaduto, più di qualche ragione perché si verificasse qualcosa di simile, c’era.
La politica scriteriata di Netanyahu, alleato con i gruppi ultraortodossi, un uomo aggrappato al potere per difendersi dalla giustizia che lo incalza, che ha diviso gli Israeliani e manipolato l’esercito, inviandolo, tra l’altro, a guardia dei suoi amici fondamentalisti, invece che a protezione dei cittadini.
Un popolo diviso, che scende in piazza contro il suo governo, è debole e meno difeso.
E i Palestinesi? Danneggiati da una classe dirigente arraffona e disonesta, chiusi tra un muro e il mare a Gaza, cresciuti nella povertà a pane, odio e paura… perché non credo che i miliziani di Hamas siano teneri, neanche con loro. Hanno usato risorse preziose per la popolazione comprando armi e costruendo tunnel, non per ospedali, scuole e sviluppo.
Accenno poi solo di sfuggita a paesi come l’Iran, a cui il caos internazionale fa gioco per distrarre dalla terribile situazione interna creata dalla sanguinosa dittatura religiosa, o come Putin, bisognoso che si parlasse d’altro piuttosto che di lui e dell’Ucraina.
O il tentativo di accordi negoziati dai diplomatici USA, quel Patto dei figli di Abramo che avrebbe potuto, pur tra mille difficoltà, fare un passo verso la pace e il riconoscimento di due stati in Palestina.
E Il Libano? E La Siria? Troppi, troppi hanno interesse a farlo saltare.
Mentre scrivo mi viene solo da piangere.
Innanzi tutto, credo, pregare.
Poi mi viene in aiuto il ricordo di un incontro che il nostro gruppo di pellegrini fece a Gerusalemme, con Lorenzo, un monaco dossettiano , che viveva lì, (oggi è chiuso in casa a Gerusalemme, appena tornato dall’Italia per guidare un gruppo di persone) e che andava a cena con ebrei e a cena con palestinesi, ma non era ancora riuscito a mangiare con entrambi, contemporaneamente, insieme.
Che fare?, gli avevo chiesto, un po’ depressa.
Lorenzo aveva stretto appena le spalle, – Niente. Cosa fare quando entrambi hanno ragione? Esserci, stare vicino, aiutare, fare quello che si può-.
Non è necessario essere contro; per essere amico, non è necessario avere un nemico.
Ecco. Alziamo le antenne del cuore, cerchiamo piccole occasioni, inseguiamo la pace.
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Rocchetti