Il ritorno alla monarchia è esplicitamente vietato (art. 139), ma non è automatico che un assetto presidenzialista – anche se fosse confermato dalla sovranità popolare – sia compatibile con “i limiti e le forme della Costituzione”.
La Costituzione italiana ha una struttura istituzionale fondata sulla divisione, la distribuzione, la diffusione e l’autonomia dei poteri. Giuseppe Dossetti, uno dei più importanti padri costituenti, nel 1994 scriveva:
Questa distribuzione del potere tra soggetti adeguatamente distinti e contrappesati, è forse uno dei pregi più raffinati e delicati della Costituzione italiana, ne costituisce un risultato positivo e davvero meritevole della più gelosa salvaguardia, al di là di ogni riforma possibile”.
E segnalava un pericolo:
La Costituzione non può essere giocata sull’onda di avventati presidenzialismi che precipiterebbero il nostro alto livello istituzionale in una regressiva catastrofe”.
Il Presidente della Repubblica nella vigente Costituzione è una figura di garanzia, un arbitro e un “ammortizzatore” tra i diversi poteri: può rimandare una legge al Parlamento, firma i decreti, incarica il presidente del consiglio e nomina i ministri, presiede il consiglio superiore della magistratura, ecc. E proprio per questo suo ruolo al di sopra della dialettica tra le forze politiche rappresenta l’unità della Repubblica, cioè di tutte le componenti istituzionali.
L’elezione diretta del Presidente della Repubblica, attraverso una campagna elettorale, inevitabilmente caratterizzerebbe chiunque venisse eletto come persona “di parte”. Gli elettori che sceglieranno un altro candidato con fatica potranno poi riconoscere il Presidente eletto come rappresentante di tutti. Insomma, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica è tendenzialmente divisiva. Invece l’attuale Costituzione va nella direzione opposta: per eleggere il Presidente della Repubblica nei primi tre scrutini è necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti dell’Assemblea, chiara indicazione che l’eletto deve essere sostenuto da un’ampia maggioranza e perciò riconosciuto come super partes.
Inoltre, per un’elezione diretta del Presidente probabilmente verrebbe utilizzato un sistema elettorale maggioritario a turno unico simile a quello dei collegi uninominali: chi prende un voto in più viene eletto. Con il risultato che facilmente potrebbe essere eletto un Presidente con i voti di una minoranza (anche se la prima delle minoranze). E questa eventualità sarebbe veramente in contrasto con lo spirito costituzionale.
C’è un altro rischio nell’elezione diretta del Presidente della Repubblica: il populismo. Cioè utilizzare la campagna elettorale per l’elezione del Presidente della Repubblica per contrapporre gli interessi della popolazione a quelli della classe dirigente e delle cosiddette élite. Un atteggiamento demagogico volto ad assecondare o accattivarsi le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione sul ruolo e sui compiti del Presidente della Repubblica.
Giuseppe Dossetti già nel 1944 – consapevole di quanto era accaduto nel ventennio fascista – paventava i rischi del populismo: “non vogliamo nemmeno il dominio caotico della piazza, il potere dispotico di demagoghi improvvisati”. Per questa ragione Dossetti – quando l’attuale Costituzione era ancora un sogno – scriveva:
Creeremo una Corte di garanzia, con altissimi magistrati, i quali veglieranno perché la Costituzione non venga un’altra volta tradita e la libertà del popolo non sia messa in pericolo da tentativi provenienti dall’alto o da disordini dal basso.
Dossetti successivamente sosterrà che le proposte di riforma costituzionale vengano preventivamente valutate dalla Corte Costituzionale per evitare che provochino alterazioni degli equilibri costituzionali.
Le riforme istituzionali – secondo molti autorevoli costituzionalisti – dovrebbero essere puntuali, garantendo gli equilibri tra i poteri stabiliti dalla Costituzione. Alterare il ruolo del Presidente della Repubblica non è una buona idea. Al contrario, bisognerebbe estendere la maggioranza dei due terzi anche ai successivi scrutini per essere certi che il Presidente della Repubblica sia davvero rappresentativo della volontà popolare, a maggior ragione in presenza di una legge elettorale in parte maggioritaria per l’elezione dei parlamentari.