Agnese Moro e Adriana Faranda

Cavallini/Il clericalismo spegne la vitalità della Chiesa
Ottobre 23, 2021
Due mostre fotografiche a Bergamo
Ottobre 24, 2021

Agnese Moro, figlia dello statista DC assassinato dalle Brigate Rosse e Adriana Faranda, personaggio di primo piano nel sequestro di Aldo Moro hanno tenuto un incontro, a Bergamo, lo scorso 20 settembre, all’interno di “molte fedi sotto lo stesso cielo”, delle ACLI. Enrico D’Ambrosio ha incontrato le due protagoniste. D’Ambrosio è mediatore del Centro di Giustizia Riparativa di Bergamo. Impressioni a distanza.

 

Gli incontri più belli nascono attorno alla tavola quando grazie ad amici comuni, ad Anna Cattaneo, si crea l’occasione di ospitare in casa tua, Agnese Moro e Adriana Faranda. Alla cena è seguito l’incontro con i mediatori del Centro di Giustizia riparativa di Bergamo e di Mapello. Ci vuole tanta delicatezza nel prendere in mano un vaso rotto che è stato ricomposto. Ci vuole cura per ciò che l’altro ti consegna di sé, per ciò che si rivela prezioso eppure rimane molto fragile.

Il dolore ti spezza in due e ti manda in mille pezzi

Il dolore non è mai solo un’esperienza fisica, ha una portata simbolica. Il dolore ti spezza in due. Ricomporre i pezzi della tua vita, che in un frangente è andata in frantumi, è un lavoro lungo, lento, paziente e anche difficile e doloroso. La prima reazione è rifiutare il male subito o commesso, non voler fare i conti con la tua storia, speri di poterne uscirne in qualche modo.

Tenti così di voltare pagina, buttandoti in altro, con il tuo passato. Poi avverti che quanto vuoi rimuovere ritorna in forma più pressante e pesante sul cuore. Si susseguono giorni inquieti e notti insonni. Sei preso da vertigini sull’orlo del precipizio. L’abisso del tuo dolore s’affaccia voragine aperta dalla morte.

“…riprendere in mano la propria ferita, toccare il proprio dolore sia per la vittima che per l’autore di reato”

Toccare il proprio dolore fa male

Accondiscendere ad un percorso di mediazione di giustizia riparativa è riprendere in mano la propria ferita, toccare il proprio dolore sia per la vittima che per l’autore di reato.  Questa disponibilità a toccare il dolore solleva nella vittima, sentimenti contrastanti. Hai vissuto un dolore così grande che temi non possa essere condivisibile e compreso da altri, e che, proprio perché è tuo, non può essere condiviso perché potresti far male alla persona a cui lo racconti.

Negli autori di reato il dilemma sorgeva in questi termini: “Come poter esprimere il proprio dolore, dispiacere, per quanto era avvenuto e si aveva provocato, con la propria disponibilità all’incontro, senza che nulla provochi equivoci o si possa frapporre?”. E a tutti coloro che avevano intrapreso il percorso s’imponeva questa domanda: “Come si poteva garantire che a nessuno si sarebbe fatto del male anche se ciò che si andava scoperchiando era qualcosa di brutale?”.

Nell’onda d’urto impatti con la tua paura. Soltanto la fiducia suscitata dai mediatori, nel sentire che a loro gli stai a cuore ti porta a credere che non rimarrai schiantato e ti aiuta a denudarti completamente. Spogliandoti di ogni ruolo, maschera ed etichetta torni ad essere veramente te stesso.

Riprendere in mano le proprie ferite è riaprirle di nuovo

Non si guarisce dal male trascurando le proprie ferite, ma prendendosene cura, riaprendole di nuovo. E quando tornano a sanguinare non esce solo sangue. La via di liberazione e guarigione dal male passa necessariamente da qui. Bisogna lasciare che quel male che ci infetta e ci lavora dentro, possa uscire così che non abbia l’ultima parola sulla nostra vita e non renda la nostra una ferita insanabile.

Agnese parla di ‘toccare il dolore’ più che di accogliere il dolore. Perché il dolore è carne, è ferita viva. Per Adriana è ricucire lo strappo. La ferita inferta all’altro ti lacera dentro, è un pungolo conficcato nella tua carne. Entrambe le cose ci fanno intendere cosa significa at-tendere che la ferita si possa rimarginare.

Rim_arginare

“E’ qui che entrano in gioco i mediatori…”

Rimarginare significa dare un margine, porre un argine, permettere all’altro di ricostruirsi lasciando che il suo dolore possa fluire senza inondare l’altro e senza che noi stessi ne rimaniamo sommersi e sovrastati.

E’ qui che entrano in gioco i mediatori. Il clima protetto in cui si sono svolti gli incontri di mediazione carichi di ascolto empatico, permette ai soggetti della mediazione, di esprimersi con estrema libertà in qualsiasi cosa.

Rimarginare la ferita è rielaborare i fatti, circoscriverli, contestualizzarli, purificare la memoria, ricucire i pezzi, ricollocare ogni cosa al suo giusto posto. Il vaso è rotto, nulla nella vita può ritornare come prima, ma tutto, pezzo dopo pezzo, può trovare una sua ricomposizione. Le parti spezzate possono essere ricongiunte e le persone riconoscersi proprio nel punto di frattura. Ho tolto le ultime righe  

La mediazione un processo trasformativo

Il riconoscimento emotivo offerto dai mediatori, i riassunti nella ripresa sintetica dei fatti, permettono ai mediati di prendere coscienza delle emozioni emerse nei loro racconti. Permettono poi di accedere, in un secondo tempo e su un altro piano, a un grado di consapevolezza, dei valori in gioco, creduti e traditi che siano, sottostanti ai fatti stessi, offrendo un altro sguardo e una parola altra sulle proprie scelte e i vissuti.

Le parole infatti non hanno lo stesso peso e non risuonano nello stesso modo. Cosa significano le parole che escono, in mediazione, per le vittime e per coloro che sono stati autori di reato?

Così i mediatori facendosi garanti di questo processo permettono ai confliggenti di attraversare anche i momenti più caldi, difficili e dolorosi accompagnandoli nelle diverse fasi della mediazione: dalla teoria, nell’esposizione dei fatti, alla crisi che autorizza il grido e la fuoriuscita delle proprie emozioni, alla catarsi ovvero alla trasformazione di sé. Ci si trova su un altro terreno esistenziale nel riedificare la propria casa interiore.

Nel riconoscimento dell’altro è l’incontro più profondo con me stesso

“La compassione è questo patire e portare insieme, agire e sentire come proprio l’uno il dolore dell’altro”

Rimarginare è ricollocare ogni cosa al suo posto. Ma qual è il posto in cui posso ricomporre me stesso? Nell’esperienza della mediazione sento vibranti queste parole di Edith Stein:

«Io incontro il dolore direttamente nel luogo in cui è al suo posto, presso l’altro, l’altra che lo prova, magari lo esprime nei tratti del volto o lo comunica in altri modi. Non mi abbandono in lei o in lui, Né proietto e trasferisco le mie qualità.

La compassione è questo patire e portare insieme, agire e sentire come proprio l’uno il dolore dell’altro. Non c’è più separazione tra le parti. La distanza non è annullata, è attraversata dalle due parti fino al punto d’incontro che in quel momento è voluto e dato di vivere ad entrambe. A questo conduce la giustizia dell’incontro.

Nel riconoscere l’altro come l’altro di me stesso la mediazione umanistica sprigiona, non una volta per tutte, ma ogni volta in modo inaspettato, tutte le potenzialità di quel processo generativo messo in moto nei percorsi della giustizia riparativa.

La mediazione è questo lavoro di tessitura del legame sociale. Per altro verso la giustizia riparativa segna linee di avanzamento e superamento rispetto alla giustizia penale proprio perché si rapporta con ciò che permane insuperabile e non può essere definitivamente chiuso, archiviato o cadere in prescrizione.

Si è così coscienti che alta è la posta in gioco, degna e all’altezza dell’umano che ci è comune: riparare l’irreparabile. È questo un compito mai finito con le persone, le famiglie, le comunità-società coinvolte e quando si dà la grazia di compierlo si approda sempre a un nuovo inizio. Il perdono, quale secondo dono, è quella forma di amore che si declina come riparazione possibile proprio di fronte a ciò che di per sé è imperdonabile in quanto irreparabile.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


The reCAPTCHA verification period has expired. Please reload the page.