Un’ottima spiegazione di cosa sia il clericalismo secondo Papa Francesco e i suoi risvolti negativi lo troviamo nell’articolo di Andrea Lebra su SettimanaNews del 20 settembre 2020
Io accenno a una delle espressioni del clericalismo e ne descrivo brevemente gli effetti malsani nell’ambito della comunità cristiana.
Il clericalismo ha a che fare con chi esercita il “potere” nella comunità cristiana (qui prendiamo come riferimento la parrocchia). Ora, nell’attuale organizzazione della Chiesa, l’ultima parola su tutte le questioni spetta al parroco.
Questa clericalizzazione genera una serie di problemi. Uno, molto comune, è collegato alla stessa diminuzione dei preti. Molto spesso un parroco è responsabile di più parrocchie. Spesso nel territorio di una parrocchia si trovano enti ecclesiastici, come gli asili, case di riposo, lasciti da gestire, eccetera eccetera.
Ne deriva che il parroco è sempre più gravato da questioni burocratiche-amministrative, con il corollario inevitabile di riunioni, incontri, pratiche… Diminuisce sempre più il tempo da dedicare alla cura spirituale delle persone, alla formazione propria e delle diverse categorie di persone che sono affidate al parroco. Già questo genera un “impoverimento” della comunità.
Ma da questa concentrazione di potere nella persona del parroco (e delle varie categorie di ecclesiastici nelle diversi ambiti dell’organizzazione della Chiesa) crea un’ulteriore impoverimento. Al parroco, infatti, (e al vice parroco per i suoi ambiti… anche se non esiste quasi più da nessuna parte) vengono attribuite molte responsabilità decisionali.
Ma nessun parroco possiede tutte le qualità, le sensibilità e le competenze
per le diverse attività e servizi di cui la comunità ha bisogno. Questo impoverisce ulteriormente la comunità perché così non sono valorizzati i vari carismi, le qualità, le competenze, le sensibilità che ci sono tra i diversi membri della comunità.
Avviene così, spesso, che le parrocchie e gli oratori sono in balia del carattere, della sensibilità, delle capacità e delle competenze dei suoi sacerdoti, nel bene e nel male. Ma mi pare di dover pensare che non può più possibile che un’intera comunità sia in balia della personalità e delle competenze del prete.
Un ulteriore risvolto negativo di questa impostazione clericale è che può generare nel prete non solo il sentirsi guida delle coscienze ma anche “padrone”. Anziché far crescere e maturare le coscienze si determina un atteggiamento in cui il prete decide cosa la gente deve fare, come deve comportarsi. E’ un atteggiamento che, in una delle diocesi in cui ho vissuto, ho udito sintetizzare così: “La gente è confusa gli dobbiamo dire noi cosa devono fare”.
Un atteggiamento decisamente perverso che non aiuta la maturazione delle coscienze ma anzi ne istaura una dipendenza dal prete. Questi finisce per essere il capo circondato da devoti ubbidienti che abdicano alla propria intelligenza, libertà, responsabilità, riflessione, coscienza.
Dice il Papa che il clericalismo si balla in due.
Certo è più facile per un prete decidere e circondarsi di persone che sono esecutori e per una persona avere qualcuno a cui demandare ciò che è giusto o sbagliato o ciò che deve fare o non fare senza farsi troppe domande.
Da questo derivano ulteriori problemi per il sacerdote e per la comunità. L’autereferenzialità del sacerdote e l’esercizio del potere da parte di una persona che a volte non ha la maturità umana e la capacità per esercitarlo al meglio possono incidere sulla personalità del sacerdote rendendola più problematica con i relativi risvolti nelle relazioni. E per la comunità genera un impoverimento della vitalità, creatività, generatività limitando il ruolo e le responsabilità dei laici.
E’ ora di dirselo chiaramente ed ad alta voce per finalmente e concretamente ripensare un modello di Chiesa più sinodale fondata su una seria formazione dei laici, sulla valorizzazione e messa in comunione dei vari carismi distribuiti tra i membri della comunità (che spesso mancano ai sacerdoti) e gestita davvero in modo sinodale-comunitario.