Una misteriosa danza

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Per un itinerario di avvento. Contemplazioni. Terza domenica di Avvento. PONTORMO. A commento del “salmo” di oggi, il Magnificat

In questi giorni, quasi con nostalgia, si cercano nelle case quelle dimensioni di intimità, di incontro e di amicizia che lo scorrere e i ritmi accelerati dei giorni (subiti con rassegnazione più che scelti) sembrano negare.

Comprendiamo, istintivamente, che il Signore visita la nostra vita in modo sempre interiore e segreto.

“Magnificat”

Il salmo di questa domenica d’Avvento ripropone una parte del Magnificat, la lode di Maria in risposta al saluto di Elisabetta. È una sorte di midrash: esegesi e compendio della storia della salvezza e del suo senso ultimo. L’evangelista Luca lo mette sulla bocca della giovanissima donna: è quanto abita il cuore e la fede degli umili che aspettano il Signore; è il loro sguardo e il loro cammino.

Il primo saluto di Elisabetta a Maria sembra fare eco, infatti, alle parole di Isaia che ascoltiamo nella prima lettura: “Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore”.

Pontormo, Visitazione

A questo incontro, il pittore toscano Pontormo dedica uno splendido e misterioso dipinto che si trova a Carmignano, nella pieve di San Michele.

In primo piano, con effetto di ingrandimento dall’enfasi sorprendente, quattro figure femminili occupano quasi interamente lo spazio del dipinto; ai lati delle donne fanno cornice altissimi palazzi dall’improbabile prospettiva e avvolti nell’ombra, con due minuscoli ed enigmatici personaggi sul lato sinistro.

Le quattro donne sono disposte in una struttura compositiva a rombo (quasi certamente ispirata da un’incisione di Dürer): in primo piano, di profilo, la giovane Maria e l’anziana Elisabetta si riconoscono e si abbracciano. Dietro di loro due ancelle corrispondenti, sembrano un loro doppio, guardano frontalmente fuori dal quadro, invitando anche l’osservatore a comprendere e riconoscere.

L’atmosfera è serale, quasi notturna, irreale, segnata dalle profonde ombre colorate e dalle emozioni trattenute, sospese al pari dello scorrere del tempo, che s’è rallentato. Le figure stesse paiono levitare adagio in modo aerostatico nelle loro vesti cangianti dai colori complementari, alternati, caldi e freddi, acidi, bellissimi. Gli abiti si gonfiano al vento leggero della grazia e le donne si muovono in una lenta danza spirituale, sulle punte dei piedi nudi.

Maestosa gravità e solennità ieratica che si accompagna a questi drappeggi iridescenti, vorticanti e sensuali in un’immagine malinconica e dolcissima.

La vista dell’orizzonte è preclusa dalla presenza delle figure ma l’infinito è lì, raffigurato nel corpo dell’uomo. “Nella Visitazione, il divino resta celato e cifrato, ed è proprio questa dissimulazione o questo ritiro, questa assenza a costituire la manifestazione stessa… quando l’arte era religiosa, non si identificava mai senza resto al religioso. Essa mescolava sempre al sacro anche il suo segreto, o anche: glielo sostituiva in un movimento profondo, discreto ma insistente” (Nancy).

“Non toccano terra, vibrano a un vento strano”

In un testo teatrale dedicato all’inquieta vita di Pontormo (Felicità turbate, 1995), Mario Luzi descrive così la bellissima Visitazione:

A Carmignano a Santa Felicita volarono su di noi i colori
e noi dietro di loro
a trasfigurarci in luci e trasparenze.

Io sono la più bella delle tue visitazioni; sono, lo so, una meraviglia.
Perché mi hai chiusa nella tua magia?
Stupiscono a vederle lievitare in quella misteriosa danza
le quattro donne in unica sembianza
che nessuna par vera e tutte uno specchiato
rimando della lontananza.
Non toccano terra, vibrano a un vento strano
le due prossime puerpere e le ancelle corrispondenti.
Neppure tra di loro hai fatto sosta,
hai attizzato la febbre, hai comunicato la follia
e sei fuggito altrove. Dove?
Ad altri volti e vesti, ad altri splendidi e spiritati aspetti.

Torniamo, in questi giorni, al mistero quotidiano della nascita e a quello dei nostri incontri.

Il battito del cuore, primo suono udito sulla soglia del tempo in risonanza col nostro, è quell’interiore presenza che ci accompagna lungo la vita a riconoscere il mondo: colui che è fragile, sconosciuto, straniero, abita dentro di noi. Arriva come promessa, come futuro, come salvezza.

“Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore”.

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