“Pacem in terris”

Ascensione. Il cielo vuoto
Maggio 12, 2024
Fascismo, democrazia, tolleranza
Maggio 14, 2024
Vedi tutti

“Pacem in terris”

Nel passaggio tra la navata del Duomo e la Cappella del Crocifisso di Rosate è allestita in questi giorni una piccola mostra che, oltre ogni apparenza, ha come tema di fondo la “memoria” per la pace

La Chiesa di Bergamo ha il privilegio di conservare una delle dieci copie dell’enciclica “Pacem in terris” firmate da papa Giovanni XXIII il Giovedì Santo 1963.
L’enciclica è esposta aperta nell’ultima pagina vergata dall’autografo.

Affiancate all’enciclica sono esposte tre medaglie in bronzo fuse da Giacomo Manzù nel 1948. Sono di forma irregolare e il bronzo, vibrante in sfumature rugginose, sembra avere perso la forza del metallo. In un impasto fragile, malleabile, incerto, emerge la figura di uomo prostrato, umiliato, immagine di “ecce homo” sconfitto. E’ la sconfitta del messaggio di pace che Manzù, nonostante la memoria di recenti orrori, vede sospeso, sfumare nei primi sentori di globali minacce atomiche. 
Sono i temi che troveranno piena espressione nelle forme della “Porta della morte” per la Basilica di San Pietro, maturati proprio nella relazione tra l’artista laico e il papa della pace.

Passione laica – Verbo non accolto

Nella prima formella l’uomo/Cristo è seduto su una sgangherata sedia impagliata; (è una delle sedie impagliate che il piccolo Giacomo Manzoni distribuiva alle messe della domenica nella chiesa di Sant’Alessandro in Colonna per avere qualche moneta e aiutare la famiglia). E’ immagine di uomo sconfitto; con la testa abbassata regge a fatica il vessillo che sarà segno di vittoria sulla morte.
Cristo esposto assume le forme di uomo spogliato che aspetta mostrando i segni di una passione laica nella tristezza di un verbo non accolto.

.

Nella seconda formella un personaggio paludato di potere, forse un prelato, osserva l’uomo nudo, solo, precario, sospeso alla croce da un groviglio di corde: guarda e tace nel silenzio, sempre attuale, dell’assuefazione al dolore dei popoli.

Poi ancora lo stesso personaggio paludato abbassa la testa triste e muto; sembra non voler vedere o vergognarsi a guardare l’uomo/Cristo nudo e inerte sostenuto, forse, da un “buon samaritano”. 

’uomo/Cristo è icona dei popoli sotto il giogo della guerra; l’astante che guarda è icona di chi nell’impotenza dell’orrore vuole essere almeno testimone.

Il Crocifisso di Rosate: una storia di pace

La piccola mostra nell’andito della Cappella del Crocifisso di Rosate assume il significato di introduzione e invito a una supplica di pace in questi frangenti di guerra.

Nell’antica devozione il Crocifisso venerato nella cappella fu in tempi di guerra rubato, rotto e abbandonato da saccheggiatori sacrileghi; mani devote lo raccolsero e lo conservato nel monastero di Rosate; nei secoli divenne fonte di consolazione, di protezione per l’intera Città, di speranza, in particolare per i più umili. 

Il 14 aprile 1943, nell’incombente minacci dei bombardamenti, il vescovo Bernareggi a nome della Città: “… domanda la protezione di Dio con la mediazione del venerato Crocifisso di Rosate …che ben altre volte vide davanti a sé la folla prostrata dei fedeli bergamaschi…”.

Tempi della guerra sono tornati. L’epigrafe della “Pacem in terris”:

LA PACE TRA TUTTE LE GENTI
FONDATA SULLA VERITA’
SULLA GIUSTIZIA, SULL’AMORE, SULLA LIBERTA’

risuona memoria al messaggio del Verbo che nel simulacro di Rosate schioda il braccio dalla croce per sostenere gli afflitti.

                                                                                                          

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


The reCAPTCHA verification period has expired. Please reload the page.