Nel nuovo allestimento dell’Accademia Carrara è nuovamente esposto un settecentesco crocifisso ligneo da camera di grande fattura, particolarmente interessante per i temi iconografici che rendono in figura e immagini il motto scritto al centro del piedistallo:
“Mors ero mors tua” da Osea (13,14)
“Li strapperò di mano agli inferi,
li riscatterò dalla morte?
Dov’è, o morte la tua peste?
Dov’è, o inferi il vostro sterminio?
La compassione è nascosta ai miei occhi.”
Il motto sarà ripreso da Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (15,55):
“Dov’è, o morte la tua vittoria?
Dov’è, il tuo pungiglione?”
Un altare in miniatura fa da piedistallo alla croce; gradini, volute, aggetti e intarsi reggono due figure: a destra il tempo, figura di vecchio alato e sconsolato che regge la clessidra; a sinistra l’eternità, figura di donna che guarda in alto, una mano si stringe al petto, l’altra regge un cerchio formato dalla serpe che si morde la coda, sulla testa il triangolo segno di passato, presente, futuro.
In una monumentalità tardo barocca, già con accenti roccocò, colpisce nella composizione la figura al centro alla base della croce: un corpo giace morto, già in decomposizione, ma dal ventre squarciato tra vermi brulicanti sono sbocciati fiori di cardo
Il crocifisso svetta dalla base come affermando una distanza resa più evidente dal legno tinto di nero, in contrasto ai toni rosati del bosso di base. Cristo è raffigurato nello spasimo dello “spirare”; ha da poco detto “Ho sete”; la testa è contorta verso l’alto e il perizoma e scosso nell’impeto che “squarcia il velo del tempio”. Il corpo apollineo di Cristo, incorruttibile, è in drammatico parallelismo al corpo marcescente incatenato alla croce.
Guardando con attenzione si vede che la figura in decomposizione è legata con una catena alla croce di Cristo e giace a fianco di una falce: è la morte catturata, vinta e sconfitta, prolessi alla Resurrezione e promessa di vita, oltre la melanconia del tempo e le vaghe speranze di eternità.
In questi tempi di morte spettacolarizzata, auspicata, cercata – tra disperazione di alcuni e ignavia di tanti – l ’immagine della morte che muore scuote dalla rassegnata ineluttabilità di guerre, odio, confini, violenza, armi, idolatria del potere.
Il nome scientifico “dipsacus” deriva da dal greco “dipsa”, sete, per le foglie a forma concava come bicchieri dove l’acqua piovana si accumula, pronta a restituire vita.
Il cardo cresce spontaneo ai cigli delle strade, anche in luoghi impervi, in solitudine e isolamento; è simbolo di fatica e di passione.
Di questo Crocifisso da camera restano ignote sia i committenti, sia le modalità d’ingresso nelle raccolte nell’Accademia Carrara dove viene segnalato solo dal 1912.
Stile e qualità d’intaglio rimandano ad opera di ambito fantoniano nella prima decade del ‘700, in particolare, per assonanza di stile, ispirazione e finezza esecutiva, al capo bottega del momento Andrea.