Monet. Grande evento culturale a Milano

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“Opere del Musée Marmottan Monet di Parigi”. Questo è il titolo della mostra, Palazzo reale, che resta aper

Monet. Grande evento culturale a Milano. Il Museo Marmottan di Parigi possiede la più cospicua collezione esistente al mondo di opere di Claude Monet. L’antico “hotel particulier”, con i suoi importanti arredi, diventa museo in seguito al lascito dell’ultimo proprietario, nel 1932, all’Académie des Beaux Arts. Nel 1957 il museo riceve in eredità una collezione privata che comprende sei dipinti importanti di Monet (tra cui “Impression. Soleil levant”, il dipinto che diede il nome al movimento impressionista). Sarà questa donazione a spingere nel 1966 Michel Monet, figlio minore dell’artista, a lasciare a sua volta in eredità al museo le opere del padre ancora in suo possesso insieme alla proprietà di Giverny, dove  Monet si trasferì nel 1883, abitandola fino alla morte nel 1926, senza praticamente mai allontanarsene.

 

Monet mito dei nostri tempi

Claude Monet è da un po’ di anni il pittore più amato, visto, riprodotto, conteso e pagato: è “l’artista delle masse”. Alcune sue opere viaggiano continuamente per il mondo e le mostre su di lui e sui suoi compagni danno un notevole contributo agli affari del cosiddetto turismo culturale di massa.

Perché Monet piace così tanto?

Monet è (apparentemente) semplice: solo punti di colore, presi da tubetti (ormai un prodotto industriale – novità dell’epoca), per dipingere scene usuali, quotidiane, antieroiche. E’(apparentemente) spontaneo: le figure emergono in maniera facile dagli accostamenti, anche azzardati, senza la pretesa di certificare la realtà, senza disegno (da questi modelli si svilupperà il fenomeno degli artisti dilettanti, che dipingono per “diletto”, senza passare, come fu per Monet, da Accademie e da studi di prospettiva e di figura). E’ immediato: si capisce tutto subito, (o meglio, si crede di capire tutto): soprattutto si vede.
In effetti si capisce subito molto più di quanto si veda.

Claude Monet – Passeggiata vicino ad Argenteuil,1875

Monet ha 35 anni, è povero al punto che mangia pane solo quando Renoir gliene porta. Guardando la “Passeggiata vicino ad Argenteuil”, dipinta nel 1875, capiamo la stagione e l’ora del giorno, sentiamo la brezza e i profumi dei campi. Rimane in chi guarda l’impressione di aver percorso quel viottolo tra i campi in fiore insieme ai tre personaggi, vaghi e silenziosi, che forse temono l’arrivo della pioggia.

Monet è istintivo: ha innato il sentimento del contrappunto armonico, come dimostra la trovata pittorica dei due parasole, o parapioggia, appoggiati alle spalle dei protagonisti. Le forme dell’ombrello sono evocate da due macchie scure che segnano l’orizzonte della scena, al centro della composizione; creano una pausa al movimento di erbe, foglie e sottane, evocando un qualchecosa di oscuro che incombe anche sulla campagna in fiore.

 

Monet dopo l’impressionismo – Nuovi sguardi per una realtà sconosciuta

Monet non è stato solo un pittore impressionista; lo ha inventato, gli ha dato il nome, vi ha prodotto i dipinti più significativi. Dopo gli anni ‘70 dell’Ottocento, anni nei quali si può limitare la vera storia dell’Impressionismo, Monet va oltre, con un’ “indagine” sempre più radicale intorno al “guardare”, alla materia, alla vita, alla natura.

 

Claude Monet – Nebbia a Vetheuil, 1879

L’opera che meglio rappresenta questa svolta è “Nebbia a Vetheuil” del 1879.

Monet si serve di un evento naturale, come la nebbia, per meglio capire cosa significhi guardare e rappresentare le forme; vuole dipingere molto di più di un paesaggio suggestivo.

Vuole dipingere quello che accade fuori e dentro di sé.

Un evento, la nebbia, provoca in chi guarda un effetto.

L’effetto è già un’esperienza emotiva, la percezione istantanea di un momento che diventa impressione.

L’impressione è il vero dato reale, tutto mentale, che trascende e stravolge le forme apparenti. Monet vuole dipingere proprio questo: con gli strumenti della pittura sta restituendo un nuovo sguardo sul mondo.

 

 

 

Intrichi della storia. Tra ispirazione e nuove filosofie

Negli ultimi anni dell’Ottocento si va diffondendo l’idea che la base di ogni conoscenza sia l’esperienza pura che è un insieme di sensazioni elementari dove non è possibile distinguere l’elemento fisico da quello psichico; le sensazioni sono elementi primi della conoscenza. La sensazione è esperienza autentica, è la coscienza allo stato puro, prima che venga elaborata e corretta dall’intelletto. La conoscenza diventa quindi un processo emozionale prima che razionale

 

Claude Monet – Falesia e “Porte d’Amont” – Effetto mattino, 1885

La veduta è reale: la scogliera e la chiesa di Notre Dame de la Garde sono riconoscibili, ma le rocce sono rosa, la sabbia lilla, il cielo verde e i colori dati con gesti “liberi”.

Tutto troppo presto per essere capito

 

 

 

 

 

 

 

 

 

…e la vita era la luce…” (Giovanni 1,4)

Con la sua arte Monet porta la forma fino alla disgregazione e la realtà fino all’impalpabile; non distingue tra senso e intelletto, tra materia e spirito – la realtà è un’apparenza e non una verità. La verità va cercata altrove e la pittura aiuta a trovarla.

Matura precocemente una larvale sfiducia nei valori conoscitivi e razionali che stanno dando forma a un mondo industrializzato. Traduce la perplessità verso la ragione in diffidenza della forma figurativa; rivendica la libertà del vedere l’essenza, cioè la luce.

 

Claude Monet – Lo stagno delle ninfee, 1917-‘19

 

Così Monet racconta la sua ricerca artistica:

“Ho dipinto tante di queste ninfee, cambiando sempre punto d’osservazione, modificandole a seconda delle stagioni dell’anno e adattandole ai diversi effetti di luce che il mutar delle stagioni crea…. l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro… lo specchio d’acqua muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono conferendogli vita e movimento.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Claude Monet – Ninfee, 1916/’19

 

Claude Monet – Il ponte giapponese, 1918/’19

 

La visione di realtà si fa sempre più ardita. Le figure – ponte, erbe, salici e canne, terra e acqua – appaiono in completa dissoluzione. Appare una realtà sconosciuta, interna alla natura. L’impressione, che Monet aveva rappresentato quarant’anni prima nel lampo dell’effetto di un attimo, si è cristallizzata. Il gesto del pittore rivela il caos e la luce guida lo sguardo in spazi inesplorati.

 

 

 

 

 

 

 

Claude Monet – Le rose, 1925/’26

 

E’ l’ultimo dipinto di Monet. Non vediamo rose, ma grumi informi di colori, anche parti di tela non dipinta.

Immersi in una luce ”altra”,  grovigli di linee e macchie riescono a rappresentare, su uno sfondo terso, la parabola della vita fino al punto in cui l’oscuro sfiora la fine dello spazio.

 

 

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