Dove sta andando il mondo. Ce lo dice l’arte

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Dove sta andando il mondo. Ce lo dice l’arte

59^ Biennale di Venezia 2022
Il padiglione italiano

Viaggio attraverso frammenti di “miracolo economico”

Alle Biennali di Venezia si dice sia possibile intuire in che direzione stia andando il mondo. Il padiglione che rappresenta l’Italia propone al proposito un percorso.

 

In un paesaggio segnato dall’epilogo della civiltà industriale, in particolare quella del miracolo economico degli anni ’60, due atti conducono verso una “nuova Genesi”:

“…le tenebre ricoprivano l’abisso…sia la luce!
…le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un solo luogo…”

 

 

 

 

Il padiglione, curato da Gian Maria Tosatti propone l’immersione totale in uno spazio di duemila metri quadrati; si   entra da soli, uno alla volta.

Invitati al più assoluto silenzio, si percorrono “luoghi strani”: capannoni con macchinari e attrezzi pronti per lavori che nessuno farà più, “funzionanti ma non più funzionali”, e stanze abitabili ma “fuori moda”.

Si attraversa un’azione scenica dove la trama è sospesa: tutto si è fermato, tranne la melodia di “Senza fine”, soffusa in lontananza dalla voce di Ornella Vanoni.

 

 

 

 

Il prologo dell’azione si compie in un ambiente scarno e spoglio, un andito in lamiera che rievoca il luogo dove gli operai timbravano il cartellino prima di entrare in fabbrica. (E’ rimasta la radiolina portatile del portiere).

 

 

 

 

 

 

 

 

Atto primo – “Storia della notte”

In una luce di alba fredda si passa in un grande spazio, forse la catena di montaggio di un’azienda meccanica, con montacarichi e macchinari, forse ancora funzionanti, ma fermi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il secondo luogo, forse un cementificio, è un ambiente pieno di luce accecante; dai lucernari oscillano tubi di aspirazione vuoti, privi di aria e di qualsiasi scopo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da una scala metallica sul fondo si accede ad un appartamento, forse del piccolo imprenditore, o per un custode: sono ambienti di semplice decoro piccolo borghese con pavimenti in ceramica decorata, carte da parati, telefono a muro, lampadario a gocce di cristallo.

 

Un crocefisso è stato tolto da sopra un letto, forse serviva da qualche altra parte; sulla tappezzeria è rimasta la sua impronta.

 

 

 

 

Da una vetrata (occhio che controlla, antesignano di una telecamera) si ha la visione dall’alto del laboratorio, forse una camiceria (…quanti polsini al minuto…), con file ordinate di macchine da cucire pronte con rocchetti e aghi infilati per un lavoro che non riprenderà.

Solo luce elettrica illumina la notte, unica energia rimasta ad affermare la tecnica e le invenzioni dell’umanità, citazione nostalgica di un “programma prometeico”.

Un’altra invenzione umana però incombe nelle stanze: il tempo, presenza furtiva e inquietante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Atto secondo – “Destino delle comete”

 

Un corridoio conduce al secondo e ultimo atto. Lungo il percorso l’atmosfera cambia; la penombra aumenta e si infittisce il mistero; sembra che il tempo riprenda a pulsare.

Il corridoio si trasforma in molo proteso verso il grande spazio oscuro di un capannone dismesso inondato d’acqua increspata: ”Le tenebre ricoprono l’abisso” ma  a tratti baluginano lievi luci, gestazione di un nuovo spazio.

E’ un micro cosmo che riporta molteplici suggestioni: acque, terre, tenebre e luce si sono separate; il diluvio è finito, le acque si sono ritirate e lievi luci annunciano qualche cosa di nuovo. Le luci forse vinceranno le tenebre; oppure le fioche luci in lontananza sono solo immagine delle lucciole che nelle notti, tra gli effluvi di maggio, segnano il rinnovo del creato.

“…darei tutta la Montedison per una lucciola.” (Pierpaolo Pasolini – Corriere della sera – 1 febbraio 1975)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gian Marco Tosatti (Roma 1981), si è formato nell’ambito dell’arte cosiddetta performativa (di rappresentazione), al confine tra architettura e arti visive, realizzando installazioni “site specific” (in precisi luoghi con specifiche caratteristiche).
I suoi progetti sono indagini su temi connessi alla ricerca dell’identità storica, politica, spirituale. I luoghi più disastrati e i paesi in guerra diventano suoi scenari privilegiati
Da anni è impegnato sul concetto di democrazia attraverso l’elaborazione di luoghi coinvolti in dinamiche autoritarie, di conflitto, di negazione di identità. 
Nel 2021, poco prima dello scoppio della guerra, ha realizzato ad Odessa l’installazione “Il mio cuore è vuoto come uno specchio” ritratto e metafora della civiltà del presente, ammonimento sul suo destino (E’ stata presentata a Bergamo nell’ambito di The Blank Contemporary Art).

 

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