“C’è ancora domani”, di e con Paola Cortellesi, narra la vita dimessa, scialba e rassegnata di Delia, nella Roma povera e popolare dell’immediato dopoguerra degli anni ’40. Sposata con Ivano, ottuso, indolente, iracondo e manesco, come tanti allora (e qualcuno anche oggi), quando le generazioni maschili si somigliavano tutte. E’ madre di tre figli, due maschi, riproduzione in piccolo del padre, e una femmina, costretta a lasciare la scuola dall’imposizione paterna. Si arrangia con lavoretti vari per aiutare le scarse finanze della famiglia, mentre sottostà al regime, cioè a questa sopraffazione maschile, perché non conosce altra realtà.
Il bianco e nero (unito a una grande attenzione filologica) aggiunge intimità e profondità alla sua vita bicolore, in cui le sfumature non sono previste.
Così, la nostra Delia diventa il paradigma delle donne eroine della quotidianità, che hanno cresciuto i figli e sono rimaste in piedi in cucina con il grembiule mentre il resto della famiglia mangiava al tavolo. Donne di metà Novecento dimenticate, ma che affrontano a testa alta le fatiche, resistendo in un mondo nel quale contano meno degli uomini e non hanno i loro stessi diritti, in una società patriarcale che chiude gli occhi di fronte alla violenza domestica, sia fisica che psicologica.
Una violenza che infatti percorre tutti i ceti sociali, anche i più alti (come il film accenna in brevissime felici sequenze): allora, oltre che a Delia, pure a tutti gli altri personaggi è distribuita una misura dello stesso veleno culturale e dunque le donne di ogni condizione (tranne forse l’amica fruttivendola) vengono messe a tacere dai loro uomini.
Le botte di Ivano per delle sciocchezze, sia inferte a tempo di musica in una danza macabra, , con un’intuizione cinematografica straziante ed efficacissima, sia suggerite magistralmente dal chiudersi delle imposte in pieno giorno, provengono da una concezione patriarcale, di cui in qualche modo anche Ivano è vittima, concezione che fa parte del nostro passato recente e che purtroppo succede ancora perché chi stava dalla parte dominante del “si è sempre fatto così” reagisce al cambiamento con la stessa violenza di allora. E le cronache odierne ne sono piene!
Ma per Delia il miracolo, che significa scardinare un sistema, è dietro l’angolo, grazie a una lettera inaspettata, che le dà la forza necessaria per alzarsi e reagire e cambiare il proprio destino per sé e per la figlia.
Questo film davvero potente ci parla così di coraggio, emancipazione e ricerca della libertà.
Lo stile della regista è leggero, il tono divulgativo per raggiungere il più ampio pubblico possibile, ma parla di argomenti serissimi rendendoli però appetibili, nel rispetto della propria e altrui dignità.
“C’è ancora domani”contiene nel titolo stesso una speranza, ma anche un monito importante perché ci ricorda che le conquiste femminili sono avvenute appena ieri e i recenti episodi di violenze e femminicidio ce ne dichiarano la fragilità.
Non a caso il film è dedicato alla figlia della regista.
Laura Cerri
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Ho vissuto questo periodo nella mia famiglia.Ero la prima di sette fratelli, il film racconta veramente la realtà dell’epoca .L’unica cosa positiva era che le donne si confidavano, si aiutavano tra di loro facendo squadra.E nei cascinali ci viveva più di una famiglia.