A teatro: “Il silenzio grande”

“Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”
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Lizzola/Pietà
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A rappresentazione finita, calato il sipario, è venuto giù il teatro:
non so quanti minuti di applausi scroscianti, una chiamata alla ribalta dietro l’altra.

Applausi meritatissimi, del resto: sia per il testo, “Il silenzio grande”, scritto da Maurizio De Giovanni, che per la regia, di Alessandro Gassman, che soprattutto per la bravura degli attori, tutti, ma specialmente del protagonista. Massimiliano Gallo si produce in una splendida performance, alternando una strepitosa varietà di registri recitativi, forte di una mimica irresistibile per intensità e ironia, ma anche di un grande senso della misura.

Lo scrittore “chiuso” nel suo studio e nei suoi libri

La storia che si racconta è in realtà concentrata in due scene, che si svolgono entrambe in un grande studio – libreria, dove lo scrittore – famosissimo e  pluripremiato – Valerio Primic sta tentando senza fortuna di scrivere una nuova opera. E’ concentrato sul suo romanzo e sui libri, che arredano le pareti e che lui riordina continuamente e tratta con una sorta di affetto quasi filiale. Ma non ha capito che là fuori il mondo e la sua famiglia sono cambiati. Indirettamente, chiuso nel suo studio, Valerio infatti non si è accorto di come stesse mancando le vite dei suoi familiari, non con la macchina da scrivere ma con la sua ingombrante presenza/assenza.

Prova a scuoterlo la fedele domestica Bettina, personaggio dalla grande umanità e varietà di sfumature, che veglia sulle alterne fortune e miserie della famiglia. I dialoghi tra i due sono divertenti e ironici, ricchi di appropriate citazioni da parte di Valerio, ma porte, queste dotte citazioni, con una specie di … nonchalance e leggerezza.

Del resto, anche se la distanza tra i due personaggi è abissale, sul loro rifiuto di vedere quello che c’è intorno, sono più vicini di quanto non possa sembrare (e alla fine si capirà il perché). Inoltre, la percezione dello spettatore di quest’opera tutta giocata sulla parola e l’interpretazione, è, in certi momenti almeno, quella di assistere a una storia fuori dal tempo, dove i personaggi sembrano destinati a galleggiare in un eterno limbo in cui ripetono sempre le stesse azioni  (anche qui, alla fine se ne capirà il motivo).

La famiglia dello scrittore è in crisi

La famiglia di Valerio è in crisi profonda, gli rivela, sconcertandolo, la saggia Bettina. E la colpa è sua, perché si è chiuso nel suo mondo e nel silenzio. Esistono  numerose forme di silenzio: alcuni sono tanti silenzi piccoli che col passare del tempo e accumulandosi diventano silenzi grandi. E’ questo il tema principale della pièce: la riflessione sui legami, sulla paura del confronto, sulla noia e l’immobilità che a volte avvolge l’uomo, tutto preso dal lavoro, o dai suoi interessi, senza che se ne renda conto. E in quante nostre famiglie non avviene la stessa cosa? In quante i membri sono in pratica degli estranei tra loro?

Se il silenzio di Valerio – è stato scritto dalla critica – è la sua coperta di Linus, quello della famiglia è un grido disperato.

Già, la famiglia! Che nello studio – biblioteca in realtà si confida, in uno scenario drammatico ma anche grottesco e comico, nello scambio di battute tra moglie e marito, figli e padre e – lo abbiamo già visto – cameriera e padrone. Verità a volte urlate ma che possono far insorgere divertimento e ilarità, come del resto lo sono le note della nostra vita.

L’animo mite e pacato di Primic  si infervora di fronte alle tirate e alle accuse dei suoi familiari, che sembrano non volergli dar retta, e non teme di mostrare le proprie fragilità di fronte alle confessioni scottanti dei figli, che ne mettono a dura prova la pazienza, mentre conserva la capacità di sfoderare, a tratti, un’ironia pungente. Ma è  proprio il silenzio di Valerio  che ha fatto sì che i figli imboccassero strade diverse da quelle da lui volute.

La casa si svuota

E la moglie? Non ci sono più soldi e ha deciso di vendere la grande villa dove abitano. Ecco allora un altro grande tema dell’opera: la casa, il luogo dove le nostre vite mutano negli anni, con quelle pareti che ci hanno accolto nel corso del tempo, testimoni di tanti eventi. La casa come sede dei ricordi, delle memorie, dei nostri stessi affetti. Le mura dello studio, ad esempio, sono state per i figli il luogo delle loro confessioni: lì hanno in qualche modo “sentito” la presenza del padre.

Nel secondo tempo la scena è sempre lo studio di Valerio, adesso vuoto dei libri e pieno invece degli scatoloni del trasloco. Sono rimaste solo la radio e la polvere. E’ tempo di fare i conti… finalmente! E di affrontare una felicità perduta, che era ancora da vivere ma è scivolata via tra i cartoni del trasloco.

Il finale (che non rivelo per chi magari volesse vedere il film che ne è stato tratto) spiazza assolutamente lo spettatore, lasciandolo senza fiato e senza parole. Ma, paradossalmente, questo stesso finale porta ad abbattere il muro di silenzio che si era instaurato in famiglia a beneficio specialmente della moglie (l’amore, quello vero, non muore!) e dei figli che hanno trovato la propria strada. Perché vivere per davvero non significa semplicemente essere vivi.

E ancora, un’ultima considerazione: il finale ci dà la misura della cura messa dall’autore per dar vita a un meccanismo perfetto, in cui ogni singolo pezzo trova la sua sistemazione, chiarendoci la pienezza dell’insieme.

Bello! Bello davvero.

 

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