
Si fa musica in mezzo a cose di natura e di cultura dipinte con grande abilità. La nitidezza della luce rende gli oggetti palpabili: una caciotta sospesa a uno spago sta maturando, un violino è pronto ad essere impugnato, una pesca fa da coperchio al bricco del vino…
E’ il mondo reale fatto di musiche e di pietanze in interconnessione tra corpo e mente, materia e spirito, anima e corpo.
Caravaggio “…dispregiando gli eccellentissimi marmi degli antichi e le pitture celebri di Raffaello…” (Bellori – 1672)
Caravaggio insegna a scrostare dalla realtà miti, ideologie e falso decoro; cerca un’arte semplice, un mondo plasmato da luce e ombra fatto di cose. Le cose da sole esprimono nel modo più nobile pensiero, sentimento, filosofia e storia, si trasfigurano in simboli.
Francesco Boneri, il “Cecco” allievo modello, assorbe dal maestro queste idee, le approfondisce, le rielabora; questa sarà la paternità putativa che i contemporanei gli riconosceranno chiamandolo “del Caravaggio”.
Cecco nella piccola tavola di Madrid (in mostra a Bergamo) affida al legno il travaglio dell’agonia di Cristo con le mani drammaticamente rattrappite e il torace torturato dallo stiramento delle membra appese. Stranamente la tavola è dipinta anche sul retro, come ad irrompere nello spazio fisico, e, maggiormente al retro della croce, venature e nodi del legno, spessori, carpenterie, incastri, chiodi raccontano di stagioni, di lavoro, di passioni, di tempo che l’uomo Cristo ha condiviso.
Come Caravaggio anche Cecco fulmina nell’immagine l’attimo fuggente, lo stupore improvviso, la domanda in sospeso, lo sguardo che dice sentimenti e stati d’animo, affetti.
Cecco inscena l’“Andata al Calvario” come sul fronte di un sarcofago dell’età classica, in un fregio tutto in primo piano senza sfondo.
Una scura istantanea inquadra dieci figure intorno a Cristo crollato sotto il peso della croce. Il dramma si orchestra sospeso in una sinfonia di stati d’animo: il primo ladrone procede concentrato nella sua disperazione, l’altro si volta verso il capitano in un gesto di sfida.
Maria, di profilo, spunta appena da dietro il capitano che impugna l’elsa della spada; piange e una donna gli porge un panno. Ancora più in fondo, nell’oscurità un soldato, individuato dal bagliore dell’elmo, alza la spada come per fermare i curiosi. Nessuno guarda Cristo; solo un personaggio di spalle, il soldato con l’armatura e il cappello piumato, guarda verso il basso e sembra indicare distrattamente la caduta più che il Caduto.
Indifferenza, dolore, rabbia, arroganza, anche sollecitudine sono in scena: l’Andata al Calvario diventa metafora di un mondo plurale, già laico verso l’arbitrio libero.
La ricerca di realtà in Cecco diventa ansia assoluta di verità e solo la pittura riesce a manifestare l’indicibile.
Come rappresentare l’anima restando fedeli all’assoluto della verità?
Come rendere in immagine una devozione condivisa, consolatoria come quella dell’angelo custode senza leziosità agiografiche?
Cecco ci prova nella tela conservata al Museo del Prado, forse frammento di una più ampia scena. Alla base pone dati di storia reale: il martirio, Orsola trafitta dalla freccia, e la Parola, sul libro aperto con le pagine che riverberano luce. L‘angelo sembra ascendere dalle figure di base e protegge una giovane figura nuda con il volto completamente in ombra, l’anima: il corpo è tornato giovane, abiti non servono, l’identità è oscurata. La figura caravaggesca di “Amor omnia vincit” diventa immagine dell’anima nel rimandi tra anima e amore.Sempre in primo piano piedi callosi e sporchi.
La ricerca di Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio continuerà: come rendere in immagine tra vero e reale il mistero della Resurrezione?
Cecco darà una sua risposta e verrà rifiutato: sarà anche in questo fedele ai destini del suo maestro.