“…a l’estremo dell’arte e della vita”

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Una lettura delle Pietà di Michelangelo.
In questo mese, iniziato sotto il segno della vita e della morte.
Francesco Parimbelli, nostro collaboratore, è pittore
Pietà Rondanini – Castello Sforzesco, Milano

Guarderemo insieme le immagini delle Pietà scolpite da Michelangelo, per ripercorrere e trattenere in noi alcune dimensioni e direzioni della vita, e del nostro passaggio in essa.

Il “ritorno a casa”. La “salita al Padre”

Ci sono figure e parole che sono familiari per i cristiani: sono quelle del cammino, dell’esodo, del pellegrinaggio.

Indicano un viaggio nella vita che, insieme alla sua bellezza e alle sue meraviglie sorprendenti, ha tante volte aspetti sconosciuti e imprevisti, incerti e difficili. Accanto ai doni e alle gioie portate dai giorni, incontriamo problemi, malattie, conflitti, tristezze, che possono rendere il percorso un’ardua e impegnativa salita. 

Anche nel racconto dei Vangeli vediamo che Gesù, giunto a compimento del suo viaggio, annuncia ai discepoli la sua intenzione di salire a Gerusalemme. Questo movimento è una salita fisica e spirituale insieme: salita alla città santa sull’altura, salita alla croce, salita al cielo, al Padre…

Il nostro è un viaggio, infatti, che dai cristiani è pensato come un ritorno a casa, quando usano l’espressione “tornare alla casa del Padre” per indicare e rendere più dolce il passaggio nella morte col suo mistero inaccessibile.

Il movimento di innalzamento in Michelangelo

Anche le Pietà di Michelangelo, così come si modificano nella concezione e realizzazione dell’artista, sembrano rispecchiare questo movimento di salita e innalzamento.

Pietà – Basilica di s. Pietro, Vaticano

Nella prima versione, quando lo scultore è poco più che ventenne (S. Pietro), Cristo giace adagiato quasi orizzontalmente sulle ginocchia della giovanissima madre. 

Passano cinquanta, sessant’anni… e Michelangelo, come artista e come uomo, ha vissuto tante prove, tanti travagliati rapporti (e anche per la Chiesa quelli sono, come sempre, anni difficili).

Trascorsi questi decenni le figure della madre e del figlio si trasformano, nella pietra, e in un progressivo sorprendente movimento, il corpo di Cristo si leva, si solleva, s’innalza.

Pietà Bandini – Museo dell’Opera del Duomo, Firenze
Pietà Palestrina – Galleria dell’Accademia, Firenze

La Pietà di Palestrina la si ritiene un’opera realizzata prevalentemente da allievi a partire da una concezione originaria di Michelangelo.

La Pietà Rondanini – Castello Sforzesco, Milano

La scultura cui lavora anche nei suoi ultimissimi giorni è questa verticale fiamma di pietra; alla levigata e compiuta perfezione della prima Pietà succede alla fine la scabra incompiutezza di questo ultimo lavoro: la figura di Cristo, cui pure si piegano le ginocchia, sembra puntellare e sostenere la madre, anziché essere da lei raccolto.

L’idea della vicinanza e intima prossimità della vita e della morte, nella madre e nel figlio, – idea già presente nella prima realizzazione – sembra qui arrivare a un più alto grado di profondità ed espressione e forse così appare evidente al nostro sguardo di oggi, segnato dall’inquietudine di questo tempo, e dalla sua intonazione spirituale.

La madre e il figlio, l’origine e la casa, il grembo e il sepolcro…

Proviamo ora a ripercorrere queste opere e vedere come in esse sono dette parole che toccano l’esperienza di ciascuno: la madre e il figlio, l’origine e la casa, il grembo e il sepolcro, il cammino che è anche salita verso colui che attira tutti a sé, chiama e raccoglie.

La nostra vita nel suo finire ci appare sempre incompiuta, come appaiono incompiuti tanti lavori di questo artista che ha scritto:

Non ha l’abito intero prima alcun,
c’a l’estremo dell’arte e della vita

[cioè] Ognuno, ciascuno di noi, ha il suo abito intero, cioè definitivo e ultimo, solo all’estremo, alla fine, dell’arte e della vita.

Nel suo lavoro Michelangelo (autore di tante opere che appaiono non finite) sembra inseguire e cercare quale sia questo nostro abito intero, definitivo, compiuto.

Il compimento della vita lo possiamo attendere e sperare, nella fede, solo da un Altro; è a Dio che affidiamo la vita e lui solo la compie.

Un silenziosissimo inudibile dialogo tra la madre e il figlio

La Pietà di S. Pietro – particolare

Straordinaria la bellezza dei corpi e dei volti. Subito sconcerta e affascina l’immagine della madre, una ragazza che appare più giovane del figlio che regge sulle ginocchia.

Questa tipologia di rappresentazione della madre e del figlio morto deriva soprattutto dal mondo tedesco del XIV secolo e trova larga diffusione specialmente nella scultura devozionale, per lo più in statue di dimensioni piuttosto ridotte, in legno, terracotta e gesso.

La Madonna era di norma raffigurata in età matura e con il volto sofferente, mentre il corpo di Gesù era magrissimo, con i segni evidenti delle violenze subite.

Il ‘300, il secolo della peste nera, aveva creato un clima di patetismo esasperato: l’uomo dei dolori giaceva in grembo alla donna dei dolori e queste opere di devozione popolare riproiettavano sulle figure del vangelo le umane esperienze di sofferenza e di perdita. In Italia le Pietà erano presenti solo nelle aree più aperte all’influsso della cultura tedesca. Anche il committente della giovanile pietà di Michelangelo non era italiano; era il cardinale francese Jean de Bilhères-Lagraulas.

Alla fine del ‘400 (1497) il soggetto era insolito, specie in una statua marmorea di grandi dimensioni.

Michelangelo sostituisce al contorto dolore delle piccole statue tedesche (ben comprensibile ad alcune strazianti esperienze umane) una suprema intatta bellezza, sorprendente, che sembra inattaccabile persino dall’oscurità della morte.

Nella perfezione formale di questi corpi, di questi giovani volti  vi è qualcosa di inafferrabile. Un silenziosissimo inudibile dialogo tra la madre e il figlio, che ha in sé una nota misteriosa, un segreto che ci interroga e ci sfugge.

La Pietà di S. Pietro – particolare

In grande evidenza è posta la veste di Maria, che accoglie con le sue ampie pieghe e come sopra un lenzuolo funebre la reclinata nudità del figlio. Egli giace su questo telo sepolcrale offerto dalla giovanissima madre e dal suo corpo.

Il figlio è nuovamente addormentato nel grembo della donna; la fanciulla e madre raccoglie il corpo abbandonato; con la mano destra lo trattiene sotto l’ascella, aiutandosi con il ginocchio sollevato grazie alla presenza di un gradino roccioso. Dal lato opposto il piede sinistro di Gesù poggia su un esile ceppo d’albero.  Possiamo immaginare che la roccia evochi il sepolcro e l’elemento ligneo alluda e rimandi alla croce.

La paradossale giovinezza della Madre

insieme alla silente compostezza di Maria, ciò che ha sempre interrogato l’osservatore è la sua anacronistica e paradossale giovinezza. Questo viso limpido e puro è stato interpretato soprattutto come rimando alla verginità della fanciulla (e alla sua traduzione fatta da Michelangelo in riferimento alle celebri parole di Dante: “vergine madre figlia del tuo figlio”. Va detto tuttavia che nella preghiera di San Bernardo, con cui inizia l’ultimo canto della Divina Commedia, il riferimento alla croce e alla “madre dolorosa” è del tutto assente).

In realtà questa indicazione, pure pertinente, appare incapace di avvicinare la verità della morte che qui è raccontata; non riesce a svelare il mistero dell’incontro, sospeso tra morte e vita, della ragazza e del figlio. Ma chi può esserne capace?

Lasciamo agli esegeti e ai teologi i loro strumenti e all’arte il suo diverso linguaggio.

La perenne giovinezza di questo viso così dolce e apparentemente remoto, irraggiungibile, concentra in sé tutte le più compiute espressioni dell’amore; suggeriamo solamente che la veste di Maria più che un telo funebre appare il luogo di un incontro amoroso e di una nascosta inaccessibile vertigine.

L’inquieta e intensa fede di Michelangelo

Pietà Bandini – particolare

Passano molti decenni prima che Michelangelo si confronti di nuovo col tema della Pietà.

Intanto il clima spirituale intorno a lui è molto cambiato rispetto alla fine del Quattrocento. È arrivata la Riforma protestante e la Chiesa, in risposta, attua la sua trasformazione e difesa (anche attraverso cupe vicende di sospetto e persecuzione).

Michelangelo (specie tramite l’amicizia con la vedova marchesa Vittoria Colonna, influenzata a sua volta dal cardinale inglese Reginald Pole) si era nel frattempo avvicinato ai cosiddetti “Spirituali” che affermano la necessità di un convinto ritorno al Vangelo e alla Scrittura, di un ridimensionamento del ruolo affidato alla riflessione teologica, e soprattutto sostengono una dottrina della giustificazione per fede, accompagnata comunque dalle opere (scrive il cardinal Pole: “prega come se dovessi salvarti per fede e agisci come se dovessi salvarti per opere”).

La fede inquieta e intensa di Michelangelo vive con sconforto e preoccupazione, anche personale, l’elezione a papa di Paolo IV, temendo derive repressive e inquisitoriali, che per molti non mancheranno.

Se la Pietà vaticana mostra la perfezione del finito, al contrario le Pietà scolpite in età matura segnano il vertice del non-finito (caratteristica che riguarda molti altri lavori dell’artista).

Lo scultore, in modo più o meno consapevole, sembra sottolineare una cifra distintiva della condizione umana, sempre incompiuta.

La figura di Gesù, non più reclinata ma verticale, è soggetta a quella legge di gravità che la croce aveva spiritualmente capovolto: il corpo innalzato attira in alto (“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” Giov. 12, 32), il corpo deposto scivola, in abbandono quasi disarticolato, verso il basso e va sostenuto da braccia umane.

Vedremo, nella Pietà Rondanini, come questo movimento non sia univocamente interpretabile: colui che cade e va raccolto sembra anche elevarsi, salire e a sua volta, sorreggere (chiamare, invitare…).

Sia la Pietà Bandini che quella Rondanini sono scolpite senza avere una committenza esterna e sono gruppi scultorei in cui il non-finito michelangiolesco racconta, anche in modo drammatico, dei ripensamenti radicali.

Nel caso di questa Pietà Bandini c’è il problema di come interpretare l’intervento distruttivo di una parte dell’opera per mano dell’artista stesso (che ha mutilato il ginocchio sinistro e frantumato la clavicola e il braccio destro) e nel caso della pietà Rondanini occorre invece comprendere la direzione delle modifiche del lavoro rispetto al progetto originario, prima che la sua condizione di incompiutezza venisse definitivamente sigillata dalla morte del suo autore.

Il non finito e il rapporto fra arte e fede

Come interpretarlo? Varie sono state le indicazioni proposte: alcune parlano dell’incontentabilità e insoddisfazione dell’artista (con l’amara consapevolezza dei propri limiti e il desiderio di superarli), altre accennano al fascino delle sculture antiche, giunte dal passato spesso in condizioni mutile, altre ancora alludono a una specie di memoria dell’atto originario di far uscire la figura, attraverso lo scavo, dal blocco di pietra.

Diciamo anche che, per alcuni lavori, il tentativo di ulteriore completamento li renderebbe stonati e disarmonici nelle proporzioni per mancanza di materia, riducendosi troppo la massa che viene scolpita.

Ma ci chiediamo anche se questa incompiutezza del non-finito abbia a che fare col difficile, problematico nodo e rapporto tra arte-fede, con la ricerca dell’artista che sempre, quando è autentica e sincera, si spinge fino all’interrogazione estrema.

In un sonetto famoso Michelangelo (che era anche poeta), parlando della propria inquietudine scrive:

… né pinger né scolpir fie più che quieti
l’anima, volta a quell’amor divino
c’aperse, a prender noi,‘n croce le braccia.

[cioè] L’attività di scolpire non acquieta l’anima, tesa alla ricerca dell’amore divino e alla sua misericordia accogliente. L’inquietudine spirituale non è mai placata, il lavoro dell’artista è sempre incompiuto, non finito. Così la nostra vita.

Michelangelo aveva pensato questa Pietà come monumento funebre, destinandola molto probabilmente alla propria sepoltura, e si raffigura come Nicodemo nel personaggio che si erge sopra il gruppo scultoreo. 

La constatazione del profondo coinvolgimento dello scultore in questa sua opera, ci fa interrogare ancor più sulle ragioni dell’intervento distruttivo sul gruppo marmoreo, così intimamente legato alla sua persona.

Tante sono state le ipotesi; sicuramente Michelangelo avvertiva acutamente e amaramente, come uomo, la propria condizione di peccatore, e come artista sentiva la radicale insufficienza della propria opera nel riuscire ad esprimere la grandezza dell’amore divino.

Per spiegare la distruzione operata dall’autore l’ipotesi di uno scatto d’ira appare la più superficiale; convince di più l’esistenza di un desiderio a tal punto insoddisfatto da spingere Michelangelo a tentare altre vie per colmare o limitare l’infinita distanza che avvertiva tra la sua grandissima ma umana capacità artistica e l’aspirazione ad immergersi totalmente nell’amore di Cristo.

Sta di fatto che l’opera fu amputata dall’autore, ma da lui non più modificata (la figura della Maddalena sulla destra di Cristo fu scolpita in seguito e in modo non eccelso dall’allievo Tiberio Calcagni, intervenuto per il restauro e il completamento dell’opera, mai avvenuto).

Per accogliere il messaggio di questo lavoro occorre, ancora una volta, custodire nell’animo anche questa incompiutezza, senza pretendere di andare oltre.

Il “corpo spirituale” della Pietà Rondanini

Pietà Rondanini – particolare

Michelangelo inizia a lavorare alla sua ultima Pietà verso il 1555, quando già da tempo (circa nove anni) aveva assunto la direzione dei lavori della cupola di S. Pietro.

Grandissimo il contrasto tra l’imponente opera simbolo della cattolicità, il “Cupolone” che domina Roma, e le figure di un marmo quasi spiritualizzato ora custodito a Milano nel Castello Sforzesco.

La serie di ripetuti interventi compiuti da Michelangelo attorno a questa sua ultima opera fanno raggiungere al “levare” un ruolo particolare e sorprendente.

Qui la penuria, la mancanza di materiale, invece di denunciare insufficienze, attesta un avvenuto processo di spiritualizzazione nella definizione dei corpi che, a uno sguardo partecipe, fa presagire la resurrezione.

L’espressione “corpo spirituale” di cui parla S. Paolo, anche a proposito dei risorti, sembrerebbe porsi oltre ogni possibile traduzione iconografica; ciò nonostante la Pietà Rondanini, nel suo non finito, nella sua tensione e allusività, pare avvicinarsi e sfiorare questo risultato impossibile.

Non più i corpi muscolosi e possenti, tanto frequenti nell’opera di Michelangelo, ma figure sottili, quasi diafane, che rivelano la presenza dello spirito nella carne.

Non si colgono sostanziali differenze tra il corpo morto di Gesù e quello vivo di Maria. I volti sono entrambi giovani, le figure si compenetrano una nell’altra immagine 37, una è assorbita nell’altra.

È qui tradotta in modo ancor più profondo l’idea presente nella Pietà di S. Pietro: il morire e il vivere si toccano negli estremi del grembo materno, che è insieme tomba e luogo fecondo. 

Il Nuovo Testamento chiama il grembo materno koilìa, parola greca dai significati molteplici e suggestivi. Letteralmente il primo è “cavità”, ma poi anche “utero”, “grembo”, “luogo del concepimento”, “parte intima di un uomo”, “anima”, “cuore” come sede del pensiero, del sentimento, della scelta…

Molti uomini, in prossimità della morte invocano la figura della mamma, la fine della vita dell’uomo è simile al suo inizio, desiderio di protezione, di casa, la mamma… e (si diceva) anche la casa del padre, cui si torna alla fine del viaggio…

A questo punto non si decifra più se questo corpo di Cristo sta morendo o nascendo, se rientra nel grembo della madre o ne esce per nascere.

Anche la totale nudità di Cristo non può sorprendere: è la bellezza e la verità di una creatura pienamente umana e divina: corpo che muore e si abbandona per rinascere. Alla nostra fede non basta tutta la vita per imparare questa difficile misteriosa obbedienza.

Nella scultura la madre è più alta del figlio perché i suoi piedi poggiano su un basamento di roccia, mentre Gesù sembra, anche per via delle gambe lievemente incurvate, scivolare a poco a poco verso il basso. Eppure, allo stesso tempo, è Maria ad apparire come sorretta e portata da Gesù.

Osservando la statua di profilo nella sua composizione incurvata quasi “a falce di luna”, si notano sia il gravare della donna sulle spalle del figlio, sia la paradossale spinta verso l’alto esercitata dalle gambe di lui. La sintesi dei due gesti contrastanti diventa l’abbraccio delle due figure che quasi si fondono insieme.

Facciamo una breve osservazione anche su quel braccio isolato, troncato poco sopra il gomito, definito e lavorato nella parte anteriore e ancora imprigionato nel marmo in quella posteriore. 

La presenza di questa parte dell’opera, apparentemente inutile, sembra bilanciare ed equilibrare la composizione. Ci sfiora la suggestione che quel braccio destro simboleggi il lavoro dell’artista, nello strumento che ha cavato dal marmo le sculture di una vita. Il braccio è spezzato, mutilo, incompiuto.

L’arte si trova sempre sul crinale tra ciò che perisce e il desiderio di esistere per sempre.

Oltre il limite della morte

Non è la fama a garantire esistenza eterna, qui è in gioco una vita vera, la vita vera, che cerca al di là della morte. E rispetto al desiderio e alla ricerca della fede l’arte rimane incerta e appare ogni volta mancante circa la riuscita e il conseguimento di una meta così grande, che può essere solo donata.

Il continuo “levare” che ha contraddistinto la lunghissima lavorazione di questa ultima opera di Michelangelo è arrivato a un esito tale da spogliare il marmo da ogni aspetto di greve, pesante materialità. La pesantezza, la “materia” non c’è più, rimane altro, forse l’essenziale.

Ricordavamo che l’artista ha scritto che nessuno ha il suo abito intero, definitivo, se non all’estremo dell’arte e della vita. La Pietà Rondanini, con il suo non finito, ci pare questo estremo.

Le creature umane, nella loro incompiutezza, cercano in Dio, nell’amore, il loro abito intero, il loro abito infinito.

Per continuare a riflettere:

Piero Stefani, La Bibbia di Michelangelo, Claudiana – Emi, 2015
Luigi Serenthà, Rinascere e morire. Comunicazione di fede davanti alla Pietà Rondanini, Seminario arcivescovile di Milano, 1999]

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