Quanti piccoli sig. Viganò nella Chiesa?

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Quanti piccoli sig. Viganò nella Chiesa?

Il vescovo scomunicato Carlo Mariga Viganò

Le reticenze del passato, le prese di posizione recenti del vescovo scomunicato.
Rilievi umani sui tanti piccoli Viganò che abitano la Chiesa.
Le resistenze diffuse e tenaci in molte delle istituzioni ecclesiali

Come previsto. Viganò era già fuori della Chiesa

Il Dicastero per la Dottrina della Fede, con l’accusa di aver compiuto un atto scismatico, ha comminato la massima pena prevista dal codice di diritto canonico, ossia la scomunica latae sententiaeall’arcivescovo Carlo Maria Viganò, 83 anni, già nunzio apostolico negli Stati Uniti. Fin qui, nulla di nuovo sotto il sole.

Un uomo di Chiesa, addirittura arcivescovo e rappresentante del papa in quanto diplomatico, che ha definito il Concilio Vaticano II “il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana chiesa sinodale è la necessaria metastasi”, giungendo a definire il papa “falso profeta”, si è di fatto autoescluso dalla comunione con la Chiesa Cattolica.

Il documento che reca il provvedimento vaticano mi sembra non faccia altro che prendere atto di questa scelta e trarne le conseguenze a livello canonico.

Perché Viganò ha taciuto prima? Un dubbio: la carriera?

Ciò rilevato, a me curato di parrocchia e alla nostra gente, cosa dice questa vicenda? Possiamo stare sereni perché “Roma locuta, causa finita” e ancor più perché a noi che stiamo vivendo i centri ricreativi estivi e ci preoccupiamo di trovare catechisti ed educatori adolescenti per il prossimo anno delle faccende interne al Vaticano interessa poco, oppure no?

Ora, senza diventare patiti di fasce paonazze, porpore cardinalizie e mitrie vescovili, credo che la vicenda ci riguardi e debba farci riflettere, perché ne va del bene della Chiesa.

La questione che mi fa riflettere è questa. Il sig. Carlo Maria Viganò ha pronunciato le suddette dichiarazioni scismatiche negli ultimi tempi, quando ormai era in pensione. Non credo, però, siano gli sviluppi più recenti del suo pensiero. Francesco è papa dal 2013 e il Concilio Vaticano II è terminato nel dicembre 1965.

Ora, con una semplice lettura della biografia dell’ex arcivescovo, si nota come egli sia stato ordinato presbitero per la Diocesi di Pavia nel 1968, dunque a Concilio terminato. Qual era il suo pensiero sul concilio, allora? Egli, prima dell’ordinazione diaconale e presbiterale, ha giurato di credere in ciò che crede la Chiesa cattolica e di mantenersi fedele a quanto essa afferma nel suo magistero. Dunque, ha giurato il falso? Ammettiamo che a quel tempo egli fosse convinto di ciò che faceva e solo successivamente abbia cambiato la sua visione.

Negli anni, egli si è formato come diplomatico per la Santa Sede (avrà studiato ancor meglio il Concilio e il Magistero della Chiesa, no?), è stato osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa e, nel 1992, papa Giovanni Paolo II lo ha nominato nunzio apostolico in Nigeria, elevandolo nel contempo alla dignità arcivescovile e ordinandolo personalmente nella basilica di San Pietro. Viganò aveva 51 anni: cosa pensava allora del Concilio? Ciò che afferma ora? Eppure ha taciuto il suo reale pensiero, perché c’era in gioco la nomina episcopale. E quando a 68 anni divenne segretario del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, ruolo assai importante, cosa pensava del Concilio? E da nunzio apostolico negli Stati Uniti?

La mia personale convinzione è che il sig. Viganò, tradizionalista radicale, abbia sempre pensato che il Concilio fosse un cancro per la Chiesa, ponendosi di fatto fuori dalla comunione della Chiesa, ma abbia sempre affermato e giurato il contrario perché sapeva che era in odore di grande carriera e affermare il suo reale pensiero non era conveniente. Il non riconoscimento del papa da parte di Viganò, dichiarato non nei primi anni del pontificato di Francesco, quando lui era ancora in carica come nunzio apostolico (e forse accarezzava l’idea della porpora cardinalizia), ma solo dopo il suo pensionamento, mi conferma nella mia idea.

I “piccoli Viganò” delle nostre diocesi e nelle curie, quella di Roma e le altre

Da qui la mia preoccupazione più grande: quanti piccoli signori Viganò ci sono nelle nostre diocesi, nelle nostre curie, nella curia romana? Quanti preti e vescovi vivono nella schizofrenia tra “quello che bisogna dire perché lo dice la Chiesa” e il “detto fra noi, io però credo che…”? Questo sì, deve preoccuparci.

È noto che nella Chiesa non è amato chi dice che qualcosa non va, che ci sono problemi, sia chi parla semplice curato o cardinale. È meglio che ruoli significativi, in parrocchie grandi, o curia o in Vaticano, vadano a chi dice sempre sì, a chi dice che va sempre tutto bene, a chi non dà troppi pensieri ai superiori.

Perfino la teologia paga questo: è stato fatto notare, certamente a ragione, seppur con una voluta esagerazione, che sarebbe una buona idea chiedere a chi vuol fare il teologo di sottoscrivere la rinuncia alla carriera ecclesiastica. Il motivo è evidente: una teologia speculativa di qualità, ispirata da tanta preghiera, ma che si discosti anche di poco da ciò che si è sempre detto, preclude alla possibilità di diventare vescovi e, ovviamente, chi desidera questo, finisce presto per adeguarsi a questa richiesta non esplicitamente dichiarata ma notoriamente vigente.

Come Fantozzi. Nella Chiesa è bravo chi dice sempre di sì

E così, viene da dire, ciò che i film sul ragionier Fantozzi mostravano, con la straordinaria capacità interpretativa di Paolo Villaggio e la sua comicità travolgente, si rivela verità profonda. Come non pensare alla scena al casinò, quando a Fantozzi venne intimato dal “duca conte”, suo principale, di “mettergli la mano sotto il sedere” e, successivamente, di bere 25 bottiglie della “terribile acqua Bertier, la più gassata del mondo”, perché il duca conte riteneva che questo lo avrebbe fatto vincere? Fantozzi, attratto dalla possibilità di passare dal dodicesimo livello (l’ultimo nella gerarchia degli impiegati della ditta) all’undicesimo, che dava diritto a “una scrivania personale e poltrona in skai o finta pelle”, obbedì a ogni comando, con tutti gli esiti esilaranti cui questo assecondamento del capo condusse.

Cosa non si fa per più potere? Si dice di credere in ciò che non si crede e si fa ciò che mai si vorrebbe. Il problema è che se lo fa Fantozzi, pur raccontando in salsa comica una triste verità, ci viene da sorridere. Se questo, invece, accade nella Chiesa, c’è un po’meno da ridere. 

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