Ho letto con molto interesse gli articoli riguardo alla solitudine dei preti, alle difficoltà nell’esercitare un ministero che oggi chiede di essere risignificato.
Da giovane laico credo che occorra costruire un’agenda di lavoro comunitaria che metta a tema alcuni focus che vedo urgenti per la salute della fraternità tra preti e laici.
Il primo focus è il tema della competenza. Oggi occorre distribuire incarichi che sappiano essere assunti con competenza e formazione. Mi riferisco sia ai compiti così definiti negli scorsi articoli ‘’manageriali’’ ma anche e soprattutto a quelli educativi – pedagogici.
Per occuparsi di famiglie, genitori, bambini e adolescenti, occorre assumere una postura sapiente e al passo con i tempi. Spesso noto una sovrapposizione ambigua tra il sapere del catechismo al sapere pedagogico. Valorizzare le tante figure educative presenti nei territori (insegnanti di religione, educatori e pedagogisti delle cooperative…) affidando mandati chiari di responsabilità. Avere un responsabile pedagogico in ogni oratorio potrebbe essere un grande valore per la crescita di bambini e ragazzi. Questo non può prescindere che per questa figura come per altre sia necessario un investimento economico.
Il secondo focus è il tema della rete tra parrocchie, dello snellimento di alcuni processi decisionali e comunicativi, delle interazioni tra comunità laicali di uno stesso territorio. Anche qui vedo necessario un investimento territoriale che provi a creare lavoro per giovani laici con il compito di ricucire i drappi della frammentazione esistente e che possano essere sostegno nelle scelte organizzative e pastorali di più parrocchie. Che non si occupino di gestire uno spazio compiti o il torneo di calcetto della sagra ma che venga fornita loro la preparazione e affidata la capacità di collegare i mondi presenti e di organizzare i territori come occasioni di incontro. Che possano fare da raccordo tra parrocchie e altri enti presenti sul territorio.
Il terzo focus è legato al tema della fraternità. Oggi avverto assente l’incarnazione di questa parola. Vedo laici e preti come isole, sempre più autoreferenziali, disorientati sul fare che prende forme sempre più simili a servizi di animazione turistica o orientati a rincorrere il trend del momento per risultare ‘’cool’’ nei confronti dei giovani.
Manca il condividere fraternamente un cammino. Il sinodo non lo rintraccio nelle parole ben dette e ripetute nei vari incontri serali ma nel cammino vivo fatto con l’altro. Quanto tempo passiamo a camminare e incontrare l’altro prima e dopo l’eucarestia? Quante persone accogliamo a casa nostra come nostri fratelli che non siano amici o parenti? Quanto apriamo le nostre porte? Aprire le porte a chi non si riconosce nella Chiesa, a chi sta vivendo momenti di fragilità, a chi è alla ricerca di un posto nel mondo. E quanto ci facciamo ospitare dall’altro?
Domande a cui oggi purtroppo vedo solo qualche flebile tentativo di risposta che si tramuta nel più delle volte nell’evento sporadico più che nell’avvio di un processo comunitario. Aprire la porta all’altro significa anche cedere spazio e potere, significa ascoltare e fare posto a pensieri e vissuti che ci mettono in discussione. Papa Francesco ha parlato spesso di essere Chiesa in uscita, io oggi percepisco spesso una Chiesa uscita. Mi sento orfano di un parte di mondo che dovrebbe mettere in grado le persone di sentirsi fratelli tutti ma che nel più delle volte è abitata solo da fratelli unici.
C’è una poesia di Adriano Olivetti che mi piace ricordare:
Ognuno può suonare
senza timore e senza esitazione
la nostra campana.
Essa ha voce soltanto
per un mondo libero,
materialmente più fascinoso
e spiritualmente più elevato.
Suona soltanto per la parte
migliore di noi stessi,
vibra ogni qualvolta
è in gioco il diritto contro la violenza,
il debole contro il potente,
l’intelligenza contro la forza,
il coraggio contro la rassegnazione,
la povertà contro l’egoismo,
la saggezza e la sapienza
contro la fretta e l’improvvisazione,
la verità contro l’errore,
l’amore contro l’indifferenza.
Mi chiedo dunque, per chi vibra oggi la campana delle nostre comunità cristiane? Vibra per la questione femminile? Vibra per i giovani in ricerca di un senso esistenziale? Vibra per la pace? Vibra per l’accoglienza di chi non ha casa e lavoro? Vibra per chi soffre per una separazione e ha dei figli da crescere? Vibra per chi ha un orientamento sessuale non etero e non si sente riconosciuto parte della comunità? Vibra per i lavoratori costretti ad accettare mansioni sottopagate e non qualificanti? Vibra per chi ha una disabilità e insieme alla sua famiglia si districa per avere una vita dignitosa e una società inclusiva? Vibra per la democrazia?
Ripartiamo da qui, dall’essere fratelli tutti, mettendo al centro il nostro cammino, affidando spazi di ascolto , di senso e responsabilità ai laici insieme ai preti, per fare posto alla tavola di tutti.
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