Preti isolati e comunità scarse

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I preti terribilmente soli. Pareri di laici/04
Troppe incombenze, il guaio, sempre più frequente, di non risiedere nella parrocchia affidata, la difficile fraternità, i laici scarsamente coinvolti e talvolta uno stile di vita poco dignitoso

Trovo molto opportuno che anche i laici si interroghino sulla solitudine dei preti perché sono parte del popolo di Dio tanto quanto loro, pur con ruoli e carismi diversi, ma complementari. Aver innescato una discussione sul tema, peraltro condivisa anche da molti preti, significa avere a cuore il presente ed il futuro delle comunità parrocchiali con la disponibilità a discuterne insieme 

La fragilità dei preti e le fragilità di tutti

Credo che i preti, soprattutto giovani/adulti risentano delle stesse fragilità sociali e disorientamento di questo tempo.

Nel tempo i preti hanno dovuto farsi carico di incombenze che, a prescindere dalle competenze pure differenziate e complesse, richiedono tempi sottratti all’attività pastorale e ai propri ministeri. Nonostante ciò è ancora molto difficile che affidino ai laici mansioni, iniziative e progetti. I consigli pastorali, dove istituiti, sono organismi pro-forma che ratificano le decisioni del parroco.

La non residenza stabile del prete in una parrocchia, comporta il venir meno di un riferimento dal punto di vista spirituale, umano e sociale.  Si avverte il vuoto che non si colma solo con le funzioni liturgiche. Il rapporto generativo con le persone  necessita di tempo dedicato, di interlocuzione, di presenza, di accoglienza vicendevole delle reciproche fragilità (anche quelle del prete, intendo). Fragilità ascrivibili ad una condizione umana, ma se diventa oggetto di critiche, di pettegolezzi, di giudizi impropri, causa  divisioni e partigianerie nelle comunità. 

L’assenza di fraternità presbiteriale non porta solo alla solitudine personale del prete, ma lo priva di un’esperienza umana e di relazione che lo aiuterebbe anche a meglio comprendere le dinamiche famigliari, associative, di gruppo e incide su aspetti pratici, ma non secondari, come: trovare pasti pronti, una casa ordinata e “abitata”. La solitudine impedisce momenti di condivisione, di compagnia, anche di conflitto magari, ma pur sempre di confronto, di dialogo.

Ancora i laici e ancora il poco coraggio di delegare

Coinvolgere e dare fiducia ai laici porta ad una corresponsabilità comune, non da un punto di vista giuridico,  – quella rimane in capo al parroco, come al presidente di un’associazione, di una cooperativa, di un qualsiasi ruolo apicale –   ma dal punto di vista politico. Quando le cose si decidono insieme si è  più propensi a condividerne i successi o i fallimenti in chiave di confronto e non di scontro, in chiave di elaborazione e non di rivendicazione. 

Non so dire se l’abolizione del celibato potrebbe concorrere a migliorare la vita del prete, diventerebbe  in ogni caso una scelta soggetta a valutazioni personali e non una imposizione. Come non sono in grado di esprimermi sull’adeguatezza della formazione in seminario, anche perché oltre al percorso scolastico c’è il tema della vocazione che richiede, come ogni scelta di vita, di essere coltivata, confermata, sostenuta in ogni momento.   

Credo invece che si dovrebbe cominciare a delegare ai laici formati e professionalmente preparati  le incombenze dei preti non attinenti al proprio ministero, non solo per alleggerire i preti, ma perché l’impegno dei laici possa contribuire a generare una Chiesa più partecipata, più attrattiva, più rilevante per la vita delle persone. 

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