Don Matteo Bartoli, il “mio” curato, curato dell’oratorio di città alta, qui a Bergamo, è stato nominato parroco e lo sarà effettivamente fra qualche mese. Sarà parroco di cinque parrocchie: Fonteno, Solto Collina, Esmate, Zorzino, Riva di Solto. Ma non è né l’unico né il primo ad avere un tale corredo di comunità da seguire. Don Denis Castelli è parroco di Piazzatorre, Olmo, Piazzolo, Ornica e Valtorta. Don Dario Covelli è parroco di santa Brigida, Averara, Cusio, Cassiglio e Mezzoldo. Don Alberto Bongiorno è parroco di Branzi, Trabucchello, Carona, Foppolo, Valleve. Don Vittorio Rossi è parroco di Serina, Bagnella, Cornalba, Lepreno e Valpiana. Questi e altri, probabilmente. Non ho drenato tutti i nomi delle parrocchie della diocesi di Bergamo: sono 389. “Se è vero che il parroco deve sentirsi lo sposo della sua parrocchia, bisogna riconoscere che siamo tutti poligami”, si lamentava, tempo fa, un parroco.
Un solo prete, parroco di cinque parrocchie. I casi che già ci sono e quelli che ci saranno
Sembra che, per ora, il numero cinque delle parrocchie assegnate a un solo parroco sia insuperabile. Ma non si può essere sicuri. E’ comunque sicuro che, se anche, per ora, il limite è cinque, sarà presto superato. Per un motivo banale: i preti stanno velocemente diminuendo. Quindi, a breve, ci saranno preti con sei, sette e più parrocchie. Cosa che, peraltro, sta già avvenendo in Italia e dintorni.
Si cerca di resistere sul fronte delle cinque parrocchie per un solo parroco, anche per un motivo di carattere pastorale e liturgico. Si dà come scontato, infatti, che ogni parrocchia, anche piccola, deve avere – ha il diritto di avere – almeno una messa ogni domenica. Diventa perciò inevitabile che i parroci titolari di diverse parrocchie debbano richiedere o cercasi almeno un altro prete che “dia una mano” nelle diverse celebrazioni di messe, distribuite tra il tardo pomeriggio di sabato, la mattina della domenica, il tardo pomeriggio della domenica.
Ma, di fronte a una situazione così, nasce inevitabile la domanda. Quanto potrà durare? Anzi: è giusto “tenere in piedi” una situazione così? Quest’ultima domanda potrebbe essere riformulata in altro modo: è proprio necessario che ogni parrocchia, anche piccola, debba avere sempre, tutte le domeniche, una sua messa?
Le molte messe, spesso semideserte, non vanno più bene
E’ possibile, mi sembra, un’ipotesi diversa. Intanto dovrebbe affermarsi a poco a poco la convinzione che una sola messa, soprattutto in parrocchie medio-piccole, dovrebbe bastare. Che senso ha infatti il moltiplicarsi – questo avviene molto più frequentemente nelle parrocchie grosse – di tutte queste messe semideserte, una messa al mattino presto per chi deve preparare il pranzo, una messa in tarda mattinata per chi ha devuto dormire, una messa per i ragazzi, una mesa per gli adolescenti, una messa serale per chi torna dalla gita o dallo stadio… E poi dovrebbe essere evidente che è meglio una messa “fatta bene” una volta ogni due o tre settimane, che una messa affrettata tutte le domeniche (affrettate perché il povero Cristo che deve dirne due, tre, una dopo l’altra deve, per forza deve correre nel dire la messa e correre per arrivare in tempo a dire, sempre di corsa, quella successiva).
Quindi ci saranno parrocchie che, la domenica, resteranno senza messa. E che fanno queste parrocchie orfane della loro liturgia eucaristica? Prima possibilità, la più semplice. Chi vuole partecipare a una messa, prende la macchina e va in una delle parrocchie vicine o in un convento che, quella domenica, la messa ce l’hanno.
Seconda possibilità. Si tiene un momento di riflessione e preghiera senza la messa. A questo proposito, vorrei portare una piccola testimonianza personale. Sono membro del comitato di redazione della rivista “Servizio della Parola” della editrice Queriniana di Brescia. A partire dai prossimi mesi la rivista preparerà un sussidio per le “assemblee domenicali senza prete” (in Francia esiste già. La chiamano ADAP: assemblée du dimanche en l’absence de prêtre: assemblea domenicale senza prete). Di che cosa si tratta? Di una “liturgia della Parola” presieduta da un/a catechista, un/a ministro/a dell’eucarestia o comunque da una persona che “se la sente”. A conclusione si può anche distribuire la comunione, usando le ostie consacrate nella messa celebrata nelle domeniche precedenti.
Al posto della messa, una liturgia della Parola, presieduta da un laico o una laica
Questione di lana caprina? Non direi. Intanto, l’eucarestia non è lana caprina e toccare l’eucarestia, vuol dire toccare il cuore della vita di una comunità cristiana. La gente sarà scontenta? Probabile. Ma è una scontentezza che va affrontata serenamente, per il semplice motivo che la situazione nuova la richiede. Tenere in piedi a tutti i costi quello che si è fatto è rassicurante, proprio perché “si è sempre fatto così’”. Ma proprio perché le forze mancano, quello che si è sempre fatto lo si fa male e invece di nutrire la fede della comunità, la fa morire.
Questo farà diminuire ulteriormente i fedeli? Può darsi. Ma non ha molto senso temere la diminuzione che è già avvenuta, sta ancora avvenendo e avverrà sempre di più. Si tratta di prenderne atto e, soprattutto, di trattare bene, di far maturare comunque la fede e la devozione di quelli che continuano, nonostante tutto, a crederci.