Il gesuita Bergoglio

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I riferimenti “storici” del pontificato.
La tradizione gesuitica.
Le radici sudamericane

L’estate del 2005, come tutte le estati, l’avevo passata in Terra Santa e avevo fatto da guida a diversi pellegrinaggi per giovani. Come sempre, passavo qualche giorno presso l’Istituto Biblico di Gerusalemme dove viveva il card. Carlo Maria Martini. Durante una delle serate conviviali, il cardinale ci raccontò – quello che poteva raccontarci – della sua esperienza al Conclave che, pochi mesi prima, aveva eletto il card. Ratzinger, papa Benedetto XVI.

A quel conclave il cardinal Martini si era presentato dichiarando in anticipo che non avrebbe accettato una eventuale elezione a motivo dei suoi incipienti problemi di salute: il Parkinson stava avanzando. Ma, già allora, Martini si sentiva in sintonia con il cardinale di Buenos Aires, che quasi nessuno di noi conosceva, tale Jorge Bergoglio. Quel confratello gesuita, già in quella circostanza, aveva raccolto i consensi di quei cardinali che sentivano l’esigenza di dare una nuova guida alla Chiesa che sapesse meglio dialogare con il mondo e veicolare il Vangelo con più efficacia e freschezza.

L’auspicio del cardinal Martini ha preso corpo il 13 marzo 2013. In quel periodo io stavo facendo il “mese ignaziano” in Cile, dove il futuro Papa aveva fatto gli studi filosofici nella sua formazione da gesuita.

Vorrei delineare alcune caratteristiche di Papa Francesco che rimandano alla sua formazione di gesuita e accennare ad altre: quelle legate alla sua origine latino-americana.

Bergoglio, il gesuita

Alcuni tratti della personalità di Papa Francesco si possono ricondurre facilmente alla sua formazione gesuitica.

In lui si nota una spiritualità che crede nel Dio creatore e che quindi opera ed agisce nella storia, in ogni uomo, cultura e religione. E quindi si deve credere che ci sia del buono e una  certa rivelazione di Dio “per me” anche in chi non la pensa come me, in chi crede diversamente da me. Ognuno è chiamato a riconoscere l’azione di Dio nell’altro. Per questo si deve valorizzare le specificità di ogni cultura e religione. Questo atteggiamento non è relativismo come tante persone superficiali pensano, ma è verità che discende direttamente dal credere nel Dio come creatore, uno dei punti fermi della spiritualità dei figli di s. Ignazio.

“Annunciare la Buona Notizia di Gesù secondo il linguaggio dell’altro”

Da qui deriva anche la necessità di assumere come stile quello della “inculturazione”, cioè la capacità di spogliarsi delle proprie categorie culturali per accogliere, capire ed assumere il modo di vedere e capire il mondo e la vita di chi non ha le mie categorie culturali e poter quindi annunciare la Buona Notizia di Gesù secondo il linguaggio, il pensiero e le categorie dell’altro. Da ciò consegue anche il rifiuto di ogni forma di imperialismo e di colonizzazione culturale.

Papa Francesco ha come bussola lo strumento degli Esercizi Spirituali, testo fondante di tutta la tradizione ignaziana. Da quel testo esce l’esigenza del “discernimento degli spiriti” che, se vissuto con serietà, permette di prendere decisioni libere dal desiderio di affermare se stesso, dalla seduzione del potere, dalle paure e dagli “affetti disordinati”: in generale da quello che si chiama lo “spirito mondano” che inquina anche le dinamiche religiose-ecclesiastiche e non permette di “intercettare” l’azione dello Spirito Santo.

Come gesuita papa Bergoglio è anche “figlio” di quella stagione post-concilio Vaticano II, inaugurata dal preposito generale dell’ordine p. Pedro Arrupe. Arrupe aveva messo come criterio di orientamento della missione della Compagnia di Gesù, “l’opzione preferenziale per i poveri”, maturata nella famosa e fondante conferenza dei vescovi latinoamericani di Medellin nel 1968 e fatta propria dalla Chiesa dell’America Latina nella Conferenza di Puebla del 1979. I gesuiti, da parte loro, l’avevano adottata nella Congregazione Generale  dei “provinciali”, a Roma nel 1974, alla quale partecipò p. Bergoglio come superiore dei gesuiti di Argentina.

Bergoglio, il sudamericano

Come uomo dell’Amarica Latina Papa Francesco è frutto dell’incontro tra la cultura europea portata dagli immigrati europei – e italiani, tra cui i suoi nonni – e le cultura degli indigeni. Costoro, da sempre, nutrono una particolare sensibilità per la natura, la madre terra, di cui essi, molto più degli “industrializzati” paesi occidentali, sentono il legame profondo, originario, radicale, che è legame con la vita e con la vita concreta. Per questo la terra va custodita, rispettata, venerata.

Le “comunità di base”, con laici impegnati al servizio della comunità

In America Latina erano e sono tuttora attive le esperienze delle Comunità Cristiane di Base. Lì si trova un laicato impegnato al servizio della comunità, in ascolto della Parola di Dio. Spesso quei laici sostituiscono il sacerdote, coniugando il servizio sociale con il servizio liturgico, l’evangelizzazione, il catechismo, la formazione con la Parola di Dio. Un laicato – uomini e donne –  formato, impegnato, con una sua autonomia, che dà forma e sostanza alla Chiesa nelle singole comunità.

La teologia della liberazione e la “normalizzazione” di papa Woytjla

Ma soprattutto come uomo latino-americano papa Bergoglio vive la stagione in cui in Sud-America imperversano le dittature militari – e criminali – di destra: Argentina – in Argentina dal 1972 al 1983 anni in cui p. Jorge Bergoglio è il superiore dei gesuiti di Argentina -, Cile, Bolivia, Brasile, Uruguay, Paraguay, Salvador… In quel periodo, tra le migliaia di torturati, morti e desaparecidos ci sono diversi gesuiti. Quelle diittature militari rispondevano a un progetto di geopolitica più ampio e cercavano di arginare la diffusione del marxismo in America Latina. Spesso i vari gerarchi si professavano cristiani e difensori del cristianesimo.

Sono gli anni in cui prende forma la “Teologia della Liberazione” che ha come idea principale il fatto che una fede nel Dio di Gesù Cristo, è vera e viva e non solo intimistica. Deve avere un risvolto sociale concreto, contribuire alla trasformazione del mondo per renderlo più giusto, equo, solidale, impegnarsi a liberare dalla schiavitù delle dinamiche socio-politiche-economiche intere fasce della popolazione.

L’idea centrale della Teologia della Liberazione: la fede deve essere forza viva, forza liberante

Proprio perché questa Teologia prestava il fianco a diverse interpretazioni e derive fino a far sentire giustificati quanti intraprendevano la lotta armata, Papa Giovanni Paolo II – segnato dalla dittatura comunista nell’Europa dell’Est – ha proceduto con  una “normalizzazione-epurazione” della Chiesa Istituzionale in tutto il Sud-America. Con ciò è andato perso quello che di buono e autentico la ricerca teologica del tempo aveva prodotto insieme con le esperienze maturate nelle realtà locali.

Ecco, il futuro Papa Francesco si è dovuto confrontare con questi estremismi opposti reso ancora più complicato dalla delicatezza del suo ruolo istituzionale di superiore dei gesuiti (e delle tante opere dei gesuiti: scuole, università, parrocchie, missioni, riviste, centri sociali…).

La convinzione che Dio agisce “qui e ora”

In questo contesto così sfidante ed esigente Papa Francesco si è impratichito nell’arte del “discernimento” e nel riconoscere ciò che è male in ciò che appare bene (il cristianesimo perbenista di facciata dei gerarchi) e il bene in ciò che appare male (le istanze positive di giustizia sociale nel marxismo). Cercare di capire come Dio agisse in quella fase storica, cercare il vero bene possibile “qui e ora”, al di là delle posizioni e precomprensioni ideologiche.

Tutte queste caratteristiche sono la ricchezza dell’uomo sud-americano, figlio di migranti, gesuita, vescovo, p. Bergoglio sj che ha portato in dono alla  Chiesa universale come Papa Francesco. Una ricchezza che in questo senso poteva venire solo da quella parte di mondo e da quella esperienza. 

La ricchezza dell’uomo sudamericano, gesuita, di lontane origine italiane è diventata ricchezza di tutta la Chiesa

Come arcivescovo di Buenos Aires — tre milioni di abitanti — fu promotore di un progetto missionario incentrato sulla comunione e sull’evangelizzazione. Quattro erano gli obiettivi rivelatori delle sue sensibilità e anticipatori di molti spunti del suo pontificato: comunità aperte e fraterne; protagonismo di un laicato consapevole; evangelizzazione rivolta a ogni abitante della città; assistenza ai poveri e ai malati. Invitava preti e laici a lavorare insieme.

Nel settembre 2009 lancia a livello nazionale la campagna di solidarietà per il bicentenario dell’indipendenza del Paese: duecento opere di carità da realizzare entro il 2016. E, in chiave continentale, nutre forti speranze sull’onda del messaggio della Conferenza di Aparecida nel 2007, fino a definirlo «l’Evangelii nuntiandi dell’America Latina».

Forse anche per queste esperienze concrete che incarnano la sua sensibilità e spiritualità, il card. Martini vedrà in lui una valida alternativa ad una eventuale sua elezione a Papa. E forse per questo la maggioranza dei cardinali riuniti in Conclave eleggerà Papa Bergoglio il 13 marzo 2013, che prenderà il nome di Francesco, un nome in cui si concentra tutta una sensibilità, una spiritualità, una visione della Chiesa.

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