“Brace, legna, soffio” è un piccolo libro che vuol offrire un contributo a carattere spirituale a quanti si sono messi in cammino per discernere insieme le vie a cui il Signore chiama la sua Chiesa nel mondo. Johnny Dotti, uno degli autori, sostiene: “Il Sinodo non è fare più riunioni o farle meglio, è aprirsi all’ascolto della vita lì dove si trova”. E indica San Giuseppe come il “santo” del Sinodo perché non ha paura della notte ma la attraversa, fiducioso nel Signore
Adriana Masotti – Città del Vaticano
“Il cammino sinodale non è un percorso di riunioni, ma un processo di preghiera, di conversione, di azione personale e collettiva. Se non è essenzialmente questo, fatalmente non è nulla di buono, e a nulla serve”. A scriverlo è don Mario Aldegani, sacerdote italiano che vive e lavora a Buenos Aires, in Argentina, autore del pamphlet, pubblicato di recente dalla San Paolo,”Brace, legna, soffio” insieme a Johnny Dotti, pedagogista, fondatore, tra l’altro, di Welfare Italia Impresa Sociale e oggi presidente della Fondazione di partecipazione “Communia”, la Rete dei Beni Comuni. Nell’introduzione, don Aldegani spiega che obiettivo dell’opera è quello di mettersi “accanto” a singoli e comunità che intendono vivere il percorso sinodale “come contributo di temi su cui dibattere, essere provocati, farsi domande”. Condizione fondamentale per camminare in questo senso è, per gli autori del libro, la preghiera, perchè solo la preghiera può farci capaci di “esporre la nostra precarietà, la nostra fragilità” ai fratelli, alle sorelle e a Dio come il Sinodo ci invita a fare. La sola che può farci capaci, soprattutto, di ascoltare.
La preghiera nel testo prende la forma popolare della novena affidandola a San Giuseppe “che è proprio il santo più adatto nel tempo del Sinodo”, scrive don Mario. Nei tre capitoli di cui si compone vengono offerte riflessioni su un tema, accompagnate da un testo del magistero, da cui scaturiscono alcune invocazioni. Il primo capitolo: “A immagine e somiglianza della Trinità. Individuo e comunità: quale relazione?” richiama l’attenzione sul fatto che il Sinodo può essere una “felice occasione” per riscoprire la necessità dei legami tra noi e con l’intero universo e l’interdipendenza e reciprocità tra le vocazioni nella Chiesa. Argomento del secondo capitolo è il nostro rapporto con la tradizione e con l’istituzione: “custodiamo il fuoco o adoriamo le ceneri?”, si legge ancora: “Quando riavvicini la legna alla brace per generare fuoco, hai bisogno del soffio; hai bisogno, se stai al chiuso, di aprire una porta o una finestra, altrimenti generi solo fumo. La Chiesa deve avere le porte aperte, perché possa passare attraverso di essa il soffio dello Spirito di Vita”.
“Nel mondo, non del mondo. La Chiesa sarà mistica o non sarà” è il titolo del terzo capitolo. “Il cammino sinodale – si legge – è il tempo opportuno, l’ora della Grazia, per vedere nella luce dello Spirito il futuro della Chiesa” e “deve essere pensato e vissuto in una dimensione mistica più che organizzativa”. La natura spirituale di questo evento è ciò che sottolinea il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi che firma la prefazione di “Brace, legna, soffio”. “Non bisogna mai dimenticare – scrive – che un Sinodo si celebra: la natura spirituale di questo momento ecclesiale è sempre stata affermata dalla Chiesa”. Ben venga, dunque, il contributo spiccatamente spirituale di questo testo e prosegue. “Se questo piccolo libro aiuterà a pregare e a rendere l’esperienza sinodale un’esperienza di lode e benedizione, di invocazione e di intercessione, il processo sinodale procederà più spedito, perché le persone che lo vivono saranno più aperte all’azione dello Spirito che guida la Chiesa”. Da qui parte la nostra intervista al coautore del pamphlet, Johnny Dotti.
Johnny Dotti, che cosa vuol rappresentare “Brace, legna, soffio” in questo momento della vita ecclesiale?
Direi, l’invito a non perdere un’occasione. Perchè il Sinodo è un’occasione per la nostra Chiesa, ma anche un’occasione per il mondo così affaticato, così alla ricerca di strade, e per non perdere l’occasione bisogna aprirsi all’improbabile, all’impossibile, all’inaspettato. Insomma allo Spirito che nella tradizione cristiana si chiama Spirito Santo. Il Sinodo, per noi, perchè siamo in due a scrivere, andrebbe letto secondo gli occhi dello Spirito Santo. Pensiamo che se viene letto con le categorie intellettuali e scientifiche, le categorie razionali che abbiamo generato in questi duemila anni, il Sinodo diventa, se tutto va bene, un problema di solo metodo, o altrimenti il restyling di ciò che c’è già, mentre il Sinodo tocca temi come la fratellanza, il potere, il senso della vita, insomma temi esistenziali che ci aiuterebbero a fare un po’ un salto in avanti e ad entrare nel terzo millennio. Ecco, se devo dirlo con uno slogan, il Sinodo è l’occasione di entrare nel terzo millennio.
La preghiera che il libro vuol suggerire prende la forma della novena rivolta a San Giuseppe e si spiega che lui è proprio il santo più adatto in questo tempo, perché lui non ha detto nessuna parola, ma ha custodito la Parola…
Abbiamo scelto San Giuseppe perché Giuseppe è l’uomo della notte e questo Sinodo avviene in una notte del mondo. Non c’è bisogno che lo spieghi: la guerra, la pandemia, le crisi finanziarie, tensioni clamorose, difficoltà a fare figli, difficoltà per i giovani ad uscire di casa, migrazioni che non trovano accoglienza… e Giuseppe è l’uomo della notte, l’uomo che però nella notte cammina, non ha paura della notte, attraversa la notte. Giuseppe è colui che tradisce la tradizione per compiere la tradizione, tradisce la forma del suo essere ebreo ortodosso accogliendo Maria, tradisce il potere non denunciandola e si mette a disposizione della vita che nasce. Da questo punto di vista Giuseppe è il simbolo dell’autorità e non c’è Sinodo senza autorità, cioè senza una paternità che sia vissuta proprio come autorizzazione, cioè rendere autori, rendere autorevoli gli altri. Il Sinodo non è nient’altro che questo processo di comunità in cui la comunità-padre autorizza il nuovo a venire al mondo.
Nella prefazione il cardinale Grech auspica che il libro possa aiutare a vivere il percorso sinodale in un atteggiamento di apertura spirituale e di ascolto. Si parla tanto oggi dell’ascolto, ma sappiamo esattamente che cosa significa ascoltare? Sappiamo farlo?
No, io credo che in un tempo gnostico e manicheo come questo non possa esistere l’ascolto. Esiste la presunzione dell’intelletto di avere esso stesso le risposte, mentre l’ascolto è la primazia della domanda, è il lavorio che la domanda fa dentro noi stessi e dentro le nostre relazioni perché possa sorgere il nuovo. Oggi l’ascolto è rubricato sostanzialmente in una possibilità di scelte multiple di risposta, mentre l’ascolto è la custodia della domanda, è la custodia del desiderio che ci attraversa che non ha immediatamente una risposta. Per quello è difficile ascoltare, perché noi siamo tutti presi dalla volontà di potenza del nostro io o del nostro noi, mentre l’ascolto richiede il diventare il tu e il diventare il noi degli altri. E’ per questo che noi siamo anche come Chiesa così incastrati, perché abbiamo in mente noi stessi e questo non significa ascoltare.
Speriamo, allora, che l’esercizio che la Chiesa ci invita a fare in questo cammino sinodale ci aiuti un po’ ad imparare che cos’è l’ascolto…
Esatto, è una specie di allenamento, in questo senso la preghiera non è dire le preghiere, la preghiera è essere preghiera: preghiera e precario hanno la stessa radice etimologica. Chi è colui che prega? E’ colui che espone la propria precarietà agli altri e all’Assoluto, mentre siamo in una società la cui forma sociale, economica, politica, è tutta puntata sul fatto che dobbiamo presentarci perfetti, interi, sempre a posto, sempre pronti, sempre con la risposta pronta e lì non c’è spazio per la preghiera e non c’è spazio per l’ascolto. Ricordo che l’espressione con cui comincia la Bibbia è: “Ascolta Israele”.
Andiamo un po’ alla struttura del libro: tre i capitoli, il primo è incentrato sulla relazione, sulla differenza tra individuo e persona. E’ un tema forte proprio mentre vediamo intorno a noi un individualismo in crescita, mi pare.
Sì, non solo in crescita, è il mito moderno l’individualismo, e questa è una delle prime barriere per incontrare la vita, per incontrare Dio, per incontrare la realtà. Noi non siamo individui, noi siamo persone e la persona è un nodo misterioso di relazioni: verticali, orizzontali, che vengono dal passato, che vanno verso il futuro, che comprendono i propri vicini e i lontani. Appunto, la persona, come dice la parola, sono sei pronomi, in tutte le lingue, e invece noi siamo concentrati sulla prima persona singolare e sulla prima persona plurale. Il Sinodo cioè l’incontro, l’ascolto, il dialogo sono tutte modalità per riportarci a chi siamo, al mistero di noi stessi.