Chiesa, diocesi, comunità locali

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Chiesa, diocesi, comunità locali

Si discute nella diocesi di Bergamo sulle CET (Comunità Ecclesiali Territoriali). La riforma sembra innovativa ma rischia di implodere perché chiede troppo a chi non può dare (le CET) e chi deve dare (la diocesi) non dà. Le osservazioni seguenti vengono da don Goffredo Zanchi che ha insegnato Storia della Chiesa e Patrologia presso il Seminario di Bergamo, in margine a una riunione tenutasi a Boccaleone il 25 ottobre scorso

Due premesse

  1. Si tratta di una novità strutturale rilevante, forse la più grande per il nostro territorio, da quando si è formata la diocesi. Dal modello di una diocesi centralizzata ad uno con forti organi territoriali. L’attuale Codice di Diritto Canonico si riconosce nella struttura centralizzata della Chiesa Diocesana, che è quella locale per eccellenza. Le Vicarie, per quanto grandi siano, svolgono un compito prezioso, ma limitato, non così complesso e quasi sostitutivo di funzioni che spettano al governo centrale.
  2. Dal punto di vista storico la nostra Diocesi ha conosciuto non pochi benefici dal modello diocesano che fa perno su un forte potere vescovile, anche se non si è mai trattato di un potere chiuso in se stesso. Lo stile pastorale a cui il clero è stato educato ha permesso di recepire nuove istanze, coordinate e promosse dal centro. Non vi è mai stato un movimento di riforma, prodotto solo dalle varie unità territoriali in cui è suddivisa la diocesi.  A questo proposito si può osservare che in Italia è stato faticosamente avviato il processo di soppressione delle diocesi troppo piccole perchè prive dei mezzi necessari per un’adeguata pastorale.

Alle CET si chiede troppo e la diocesi non c’è

Queste due premesse suscitano perplessità sulle aspettative di rafforzamento delle strutture locali che si vuole attuare nella nostra diocesi, come se da esse provenisse il rinnovamento della Chiesa Bergamasca, come si evince dalla Bozza e dalle dichiarazioni ufficiali. Quello che manca è la precisazione del ruolo della diocesi, necessario per un progetto che mi appare eccessivamente sbilanciato sulle strutture locali. 

Questa necessità poggia sulle seguenti considerazioni.

L’impossibilità strutturale di ogni singola CET, ma anche nell’insieme, di risolvere i gravi problemi pastorali odierni che la superano e vanno al di là degli strumenti in suo possesso. La Chiesa italiana è chiamata a rinnovarsi profondamente per assolvere al compito della testimonianza evangelica nel mondo odierno. Come appare dalle sintesi nazionale e diocesana della fase sinodale di ascolto, sono emersi temi la cui complessità è superiore alle capacità delle CET: la figura del prete e la ridefinizione del suo ruolo, il volto di una parrocchia missionaria, l’annuncio della fede, la catechesi, la liturgia, la crisi della famiglia ecc. 

Rispetto a questo, la CET, l’organo territoriale può offrire una collaborazione, ma più spesso chiede risposte, che esigono un centro capace di formularle, o almeno di provarci, cioè uno sforzo corale. Per questo ci sono gli organismi in grado di parlare autorevolmente a nome del territorio: il Consiglio Presbiterale e il Consiglio Pastorale. Personalmente sono a favore per una maggiore valorizzazione dei due Consigli. Da ricordare che il Presbiterale è definito dal Codice di Diritto Canonico il “Senato del Vescovo”.

E invece la diocesi dovrebbe esserci sia per coordinare sia per formare preti e laici

  1. Una risposta che sia in qualche modo adeguata, esige l’impegno integrale della diocesi in tutte le sue componenti per uno sforzo corale. Nelle Bozze di regolamento delle CET, presentate ai preti si parla del collegamento  con gli uffici di Curia, ma questi non sono la Diocesi, anzi dovrebbero essere lo strumento per rendere possibile lo sforzo corale della Diocesi nell’elaborazione di un piano pastorale. A tutt’oggi non vedo un programma pastorale diocesano circa le urgenze più gravi da affrontare; la preoccupazione principale rimane l’organizzazione territoriale, che è sovrastimata nella sua importanza e possibilità.
  2. Lo sbilanciamento sulle CET reca il pericolo di una parcelizzazione e divisione della diocesi, che poi sarebbe difficile ricomporre. Ognuno procede per la sua strada, isolatamente, quando si guadagnerebbe di più fare gruppo.
  3. Non è sottolineata adeguatamente la necessità di una formazione teologico-pastorale del clero e dei laici, chiamati a nuove responsabilità, tanto più necessarie nell’emergenza odierna. Da un pò di tempo, mi sembra che la formazione sia trascurata ed insufficiente. Ognuno di noi [preti e laici] è chiamato a fare il suo esame di coscienza al riguardo. Questa mancanza ci priva della possibilità di affrontare i problemi odierni in modo adeguato. Forse che questa trascuratezza, insufficientemente avvertita, non è un motivo per una visione troppo pragmatica della pastorale odierna? Questo imporrebbe un’urgente intervento.

Due proposte

  1. Per il prossimo quinquiennio delle CET suggerisco che le autorità diocesane propongano uno o due temi unitari, su cui converga tutta la diocesi, fissando le tappe principali che sono di studio del problema e della situazione diocesana, di alcune proposte pastorali e della loro attuazione con revisione, per verificarne il grado di rispondenza. Si potrebbe pensare anche a qualche Convegno, soprattutto nella prima fase illustrativa.
  2. Nei comunicati Diocesani pubblicato on-line riservare uno spazio all’attività delle CET, per la loro mutua informazione e collaborazione.

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