Il prete, personaggio che delude

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Il prete non gode di buona stampa. Le cronache della pedofilia hanno contribuito. Ma non è l’unica ragione. Ce n’è un’altra ancora più impegnativa

L’opinione pubblica è, in grande maggioranza, sfavorevole alla figura del prete. Più l’opinione è pubblica, cioè vasta, legata a comunità diocesane o, ancora più nazionale più è sfavorevole.

Il prete pedofilo, il prete che lascia perché innamorato, il prete che fa outing…

Del prete, d’altronde, non si parla. Gli organi di informazione parlano moltissimo del Papa (lo si è visto in maniera molto evidente anche in occasione della recente Giornata Mondiale della Gioventù, a Lisbona), si parla, qualche altra volta, di personaggi ecclesiastici importanti. Ma del prete non si parla, semplicemente perché non ci sono motivi per parlarne.

Qualche volta, però, i motivi si impongono. Normalmente, non sono motivi “a favore”, ma “a sfavore”. Il caso pedofilia è esemplare. In quel caso di preti si parla, e molto. Ma, appunto, se ne parla quando i preti sono coinvolti nei fattacci della pedofilia.

Molti preti, anche quando annunciano di non fare più il prete lo fanno “da preti”, mettendosi al centro della comunità

Oppure se ne parla quando, in una bella omelia di una bella domenica, il parroco della tal parrocchia annuncia solennemente di “lasciare” perché si è innamorato. Oppure, il curato della talaltra parrocchia, sempre in una bella omelia e sempre in una bella domenica, fa outing: è omosessuale e deve informare tutta la comunità. (Molti preti, anche quando annunciano di non fare più il prete sentono lo fanno “da preti”, mettendosi al centro della comunità). In questi casi, le ragioni per parlare e far parlare dei preti ci sono. Anche se, probabilmente, sarebbe meglio che quelle ragioni non ci fossero.

Non so se ha ragione quell’amico prete il quale afferma che, la pedofilia e il gran parlare che se ne fa, sempre (anche nelle giornate della GMG in corso a Lisbona), ha fatto diventare tutti i preti degli indiziati pedofili. Un po’ esagerato, forse. Ma non del tutto campato in aria.

Ma esiste una variante a questo “sentire” collettivo sul prete. Mi pare sia Nando Pagnoncelli che, in alcune delle sue molte inchieste, ha rilevato una specie di anomalia: in genere si parla male dei preti, ma spesso si parla bene del proprio prete. L’opinione sulla categoria, dunque, resta negativa, ma si accetta volentieri l’eccezione, quella del prete che si conosce di cui si apprezza l’impegno.  L’opinione pubblica resta prevalentemente negativa, l’opinione semipubblica o privata è (meglio: può essere) positiva. 

La cattiva stampa del prete nasce dalla sua stessa condizione di prete

Ma, a monte di tutte queste varianti, esiste una situazione che ha a che fare con la missione stessa del prete. Il prete è diventato figura di riferimento essenziale della comunità cristiana. Anche e soprattutto perché deve trattare con misteri cruciali dell’annuncio cristiano: i sacramenti, la messa, la confessione… L’aura sacra che circonda la sua figura ha questa lontana radice. Su questa aura sacra tutta una tradizione popolare ci ha giocato alla grande.

Alcuni preti, giovani soprattutto, affermano polemicamente la loro “diversità” con sottane, zucchetti, fasce, pizzi… 

I meno giovani di noi si ricordano l’affermazione impegnativa: il prete è “alter Christus”, è un altro Cristo. La frase veniva variamente spiegata e ci sono siti on line e, forse, anche qualche teologo che la usa ancora. E alcuni preti, giovani soprattutto, affermano polemicamente la loro “diversità” con sottane, zucchetti, fasce, pizzi… 

Personalmente ricordo che la frase faceva letteralmente incavolare mons. Alberto Bellini, indimenticato docente di teologia dogmatica nel seminario di Bergamo, che contestava ferocemente quella frase (se “ferocemente” si può applicare a una figura piccola, magra, quasi diafana come era quella di mons. Bellini). 

A parte questa discussione, la frase nasce da quell’aura sacra nella quale viene visto il prete e contribuisce di suo a rafforzarla. Il risultato finale è chiaro. Il prete è chiamato a fare e a dire cose sempre più grandi, molto più grandi di lui. Il prete è sempre al di sotto di quello che annuncia e di quello che fa. Il prete non è il vangelo e le “cose” che il prete fa, l’eucarestia soprattutto, sono di una vertiginosa altezza, alla quale lui, il prete, non arriverà mai. 

Il prete dice e fa cose molto più grandi di lui, quindi è sempre nella situazione di essere deludente

Il prete, dunque, è costretto a essere, sempre, deludente. 

Il buon prete, a questo punto, non è quello che si impegna a dimostrare che questa verità è falsa, ma quello che si adatta, serenamente, al fatto che è vera. 

Di conseguenza, si potrebbe dire che la grandezza del prete sta nel chiedere perdono, sempre e soprattutto quando pretende di essere quello che non è. Essere costantemente perdonati, non solo da Dio ma anche dalla propria comunità: ecco la grande chance del prete. 

P.S. Mi è venuta la voglia di scrivere questa nota, nella mattina del 4 agosto, festa del “santo curato d’Ars”. Quel grande santo, quel grande parroco, ci raccontano i suoi biografi, voleva scappar via dalla sua piccola parrocchia, non perché era stufo del suo gregge, ma, semplicemente perché non si sentiva all’altezza, lui, Giovanni Maria Vianney, il “santo curato d’Ars”!

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