La bibbia e il pappagallo

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La bibbia e il pappagallo

A un mese dalla morte, don Leone Lussana ricorda don Giacomo Facchinetti.
L’amico, il biblista, il prete.
Con la gioia di averlo conosciuto e la mestizia per averlo perso

Magari avete la pazienza di seguirmi un momento dentro queste quattro note, forse un po’ sgangherate ma affettuose, nel fare memoria di don Giacomo Facchinetti, a un mese circa da quando è scivolato tra le braccia del Signore, uscito provvisoriamente dal nostro abbraccio e in attesa di quel famoso giorno senza tramonto che svelerà in modo compiuto quanto egli ci ha insegnato ad attendere e provocare.                                                                                  

“Beati”

Mi piace riandare al suo volto e alla sua storia dentro questi giorni di Ascensione e di Pentecoste, da cui sgorga l’andate a far risuonare il Vangelo, bella notizia, parola di felicità.  Il “mestiere” appunto di tutta la vita di questo nostro amico. Raccolgo da una sua espressione pregnante il senso del suo impegno, la dolce e forte trasparenza e letizia del suo annuncio, veicolato in decenni di competente e appassionato servizio alla Parola.

Eravamo sul monte delle Beatitudini, preti raccolti con il vescovo Amadei in un pellegrinaggio accompagnato dagli esperti biblisti del nostro seminario, tra cui appunto don Giacomo. Nella sua riflessione sul monte fece sintesi del ripetuto beati affermando con chiarezza mescolata a soavità: 

Dio non rinuncia a un sogno grande sull’umanità, non smette di coltivare il suo sogno. Dio ci crede, scommette perché ha stima dell’uomo. E ha cura della sua felicità. Per questo Gesù non rinuncia a proporre mete alte. E nella sua proposta non fa sconti. Ma in nome di questo ideale non ha mai umiliato nessuno, non ha mai ferito nessuno nelle sue fatiche e nelle sue fragilità. Ne ha fatto anzi un motivo di incoraggiamento. Non ha sbattuto in faccia la distanza dall’ideale, chiamando a coltivare fiducia. In Dio e in se stessi.    

La Bibbia, libro non della santità, ma della salvezza

Testuali parole. Che in tempi in cui riuscivo a scrivere con una certa velocità, catturando  quasi ogni parola, mi sono segnato su un quaderno che conservo gelosamente. Anzi sono due i quaderni che ho salvato dall’inceneritore al tempo del mio trasloco di fine mandato parrocchiale.

Perché di don Giacomo ho, puntuali, pure le note complete degli incontri che egli tenne, in tempi di Avvento e di Quaresima, nella parrocchia di Torre Boldone. Rivoli di Bibbia dentro temi vari di chiesa e di varia umanità che son tentato, questione di impegno e di tempo, di raccogliere perché siano ancora fontana a cui attingere, senza che il tempo ne abbia sminuito la freschezza. Magari qualcuno potrebbe collaborare: vi assicuro, ma non ne avete bisogno, che ne varrebbe la davvero la pena.

Non nascondo l’emozione nel rileggere quelle pagine in cui brillano la competenza, la convinzione e il rigoroso metodo nel suo “passeggiare tra le pagine della Bibbia”, come qualcuno ha ribadito, a proposito del modo con cui don Giacomo si accostava e ci accostava al testo santo. Passeggiare: che dice il camminare in un mondo desiderato e ben conosciuto, con uno sguardo che sa cogliere e gustare il bello, in questo caso il bello di Dio nella storia, pur volgendolo anche là dove appaiono i fiori caduchi e cadenti dell’umana debolezza.

Fulminante e sintetica, a questo proposito, una frase che leggo in una pagina dei miei due mitici quaderni:“ la Bibbia non è il libro della santità, ma il libro della salvezza!”. Prendetela pure con tutte le pinze che volete questa espressione, ma a me sembra illuminante della originalità cristiana. Buon annuncio prima che convocazione morale.

Parola e perdono

Il nostro don Giacomo è ricordato da centinaia di preti che in seminario hanno goduto del suo insegnamento (pur messi alla stanga dello studio in modo cordiale ma esigente), ma ha percorso anche altri ambiti di vita diocesana e ha raggiunto una marea di parrocchie, desiderato e disponibile per incontri biblici. Grato a chi lo accompagnava in auto, perché permane il mistero della sua patente di guida troppo presto inutilizzata e confinata nel cassetto. (Forse solo il cugino don Paolo, che lo ha seguito con particolare cura specialmente negli ultimi anni, potrebbe svelarlo).

Mi resta la positiva impressione che di lui ebbero i miei catechisti negli incontri formativi, lui ai primi anni di insegnamento e io che cercavo di districarmi nell’oratorio di Borgo Palazzo, anni ’70, anni maledetti e benedetti della cosiddetta contestazione.  

Il periodo passato poi a Bratto chiedeva un supplemento di presenza sacerdotale soprattutto nei periodi di Natale e di Pasqua, con milanesi e quant’altri che facevano i peccati nei luoghi di residenza e venivano a pentirsene in montagna. Allora in file abbastanza dilungate e contrite.

Don Giacomo fu di grande e fraterno aiuto in celebrazioni penitenziali ed eucaristiche, rispondendo subito alla mia angosciata richiesta e contento anche di sostare sul monte e in casa, godendo dell’arte culinaria di mia sorella. Tant’è che, avviati i fortunati incontri di cultura religiosa nel periodo turistico, con i vicini don Angelo di Castione (recentemente passato anche lui al Padre, come si usa dire) e don Giulio di Dorga, don Giacomo divenne ospite e relatore sui vari argomenti alla luce della sapienza biblica. Partecipazione ampia e assicurata con lui e con altri illustri conferenzieri.

Gli ultimi anni. Il sorriso sempre più scarno

Un capitolo di questa singolare storia di vita di don Giacomo è quella dei rapporti con i compagni di ordinazione sacerdotale (con loro pure io gentilmente coinvolto e felicemente partecipe!). Non dimenticando quelli del Seminario Romano, che ne conservano un ricordo condito di stima, ma focalizzando su quelli del 1969 in Bergamo. Preti dai volti vari e dai ministeri variegati, in Italia e nel mondo. Con loro il periodico trovarsi in amabile e lieta condivisione di riflessioni, preghiere e convivi. Con punte di alte attenzioni sull’ecclesiale e sull’umano, ridiscendendo con barzellette e battute che davano pure la misura della cordialità di un desiderato incontro.

Soltanto negli ultimi anni la tensione in don Giacomo è drammaticamente calata; il malanno che lo andava insidiando prendeva pian piano il sopravvento. Già forte in tutti lo stupore il giorno in cui, al santuario dello Zuccarello, egli sembrava in ombra, all’angolo del discorrere e faticosamente sollecitato anche al racconto di una delle barzellette più ricorrenti e intriganti.  Mai comunque da allora lasciato all’angolo da compagni e amici, qualcuno anzi fattosi maggiormente accanto con visita e presenza costante. E lui sempre a ribadire bene, bene alla solita richiesta sulla salute. Con un sorriso sempre più scarno, ma mai del tutto spento e dando conto ancora del piacere di conoscere e incontrare. E spesso con la ritrovata, momentanea vivacità dell’augurio portato agli amici nel giorno dei compleanni e onomastici: telefonate mai mancate anche se ora fatte più scarne, ma sempre dal tratto amicale. In tempi non recenti, ma già segnati dal male che incalzava, gli amici di messa hanno voluto coinvolgere don Giacomo in quel di Torre Boldone, per raccogliere da lui qualche possibile briciola del pane della Parola. Non ha avuto molta storia quest’ultima sua cattedra, ma la si è apprezzata, nonostante, tra le ultime feritoie del suo illuminato insegnamento.  

Il pappagallo

Andando verso il termine di queste note e per evidenziare l’intensa umanità, sorridiamo con due espressioni che fiorivano dal cuore e sulla bocca di don Giacomo, al cospetto soprattutto di preti incappati in qualche fatica o ferita nel loro cammino sacerdotale. Non per morale largheggiante, ma con spirito di ampia comprensione soleva chiedere: él contèt?… Alùra va be! E compassionevole anche verso le fragilità, da cui nessuno è esente, diceva in modo proverbiale: meglio un rimorso oggi, che un rimpianto domani!             

Da non evidenziare troppo, si capisce. E terminando davvero qualcuno vorrà pur sussumere: ma il titolo di queste note che cosa c’entra? C’entra e come! Sintesi di una  vita di fede che si impasta in umanità, irraggiandola per renderla vera. Della verità del Vangelo. Non solo annunciato, ma vissuto.

Agli incontri in Torre Boldone don Giacomo veniva accompagnato spesso dal fratello Edoardo con la sua disabilità. In carrozzella. Ed ecco la mirabile scena: don Giacomo prima si accomoda sul palco per la sua riflessione senza intoppi, Bibbia alla mano e null’altro. Poi, a sala quasi vuota e con pochi amici al saluto finale, si fa appresso al fratello. Smessa la Bibbia, e con la stessa cura e con la stessa disinvoltura, prende il pappagallo dedicandosi ai bisogni fisiologici del fratello. 

Bibbia e pappagallo, senza soluzione di continuità. Ambedue dentro lo stesso e unico quadro di vita. Che probabilmente ha impressa la sinopia della santità. 

                                                                                               

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