Il motivo: nella comunità, a suo dire, la sinodalità è già in atto. Non c’è bisogno alcuno dunque di metterla a tema e farla diventare oggetto di un lavoro specifico della parrocchia.
E’ uno dei segnali (non l’unico, evidentemente) della fatica a far “decollare” il cammino sinodale. D’altronde, dopo le celebrazioni di apertura e alcuni momenti pubblici (l’ultimo, quello di sabato, a Milano, molto bello, dove duecento giovani di tutte le province lombarde si sono confrontati con i vescovi), non è ancora chiaro come sarà il percorso di ascolto “dal basso”. La confusione pare regnare sovrana.
Come ha scritto padre Giacomo Costa, direttore di “Aggiornamenti Sociali”: “camminare insieme trasmette immediatamente due caratteristiche fondamentali, tenendole unite. La prima è il dinamismo del movimento, di un processo che punta a un cambiamento. Chi vuole che tutto rimanga com’è, non si mette in cammino. La seconda è espressa dalla parola “insieme”: il processo sinodale si pone nella linea della costruzione di un “noi”.
E forse al di là di molte parole rimaste per lo più sulla carta, è la fatica del “noi” a prevalere. Dobbiamo riconoscere che come Chiesa non siamo proprio abituati a discutere e a confrontarci. A tutti i livelli. Non credo sia il caso di fare esempi perché li abbiamo in mente tutti. Eppure bisogna cominciare. E dunque, prima di elencare gli immancabili cahiers de doleance sarebbe opportuno che ad ogni livello (diocesi, Cet, parrocchie, associazioni, gruppi) si cominci a dare parola e ad ascoltare. Anche in questo caso, forse, il processo è più importante del prodotto finale.
Con un’avvertenza che sento importante. Il cammino sinodale ha la sua forza se è fatto da cristiani capaci di “andare oltre il proprio ombelico e con analisi auto consolatorie o lamentazione laceranti” (Brunetto Salvarani). Occorre uscire dal recinto, fuori dal tempio, e mettersi in ascolto empatico con un mondo sempre più abitato da donne e uomini che sembrano aver smarrito il senso di Dio ma che custodiscono inquietudini e domande che sarebbe il caso di condividere, di prendere sul serio.
E, umilmente, raccontare loro, meglio se con la vita, l’umanità del Vangelo. L’unica perla preziosa – che nessuno possiede interamente – per questi giorni inquieti.
2 Comments
“nella comunità, a suo dire, la sinodalità è già in atto.” Non solo preti ma anche Vescovi dicono così, e lo dicono da tempo, quasi a prevenire di dover pensare qualcosa e in contemporanea dicono che si ascolteràanno”tutti i battezzati”… e intanto continuano ad incontrare i soliti. E così le parole perdono peso invece di mettere in relazione e andare davvero incontro all’affanno quotidiano del vivere. Se ne siamo sstanchi noi che abbiamo più tempo anche se poche energia come chiedere a chi è ingolfato di interessarsene?
La comunità ecclesiale è in gran prevalenza composta da persone appartenenti a una generazione di -più o meno giovani – pensionati, così come accade per i sindacati e molto associazionismo.
Questa non è la condizione di vita attuale e futura per le persone di mezza età o giovani, costrette a muoversi in un mondo socialmente e lavorativamente insicuro e sempre mutevole, con figli ancora da crescere e, contemporaneamente, anziani da accudire. Forse, può essere considerato questo l'”ombelico” al quale sono attaccati, ma quel cordone poco concede ad altro che non sia cercare di tenere viva la loro umanità dentro l’affanno quotidiano.