Dopo la pienezza del mistero della Pasqua e della Pentecoste, la Chiesa la festa dell’Eucarestia, il ”Corpus Domini”. Ma quella festa celebra un mistero che, in realtà, è celebrato dappertutto, ogni giorno, nella Chiesa.
Sì, il corpo, l’umanità di Gesù: non un’immagine, un simbolo, ma la realtà della Parola che si fa carne, l’eterno che si fa fragile, vulnerabile, come ogni carne. È l’inaudito dell’incarnazione, che contesta ogni spiritualismo alienante e rimanda alla dignità che il cristianesimo attribuisce a ogni corpo.
Nella Scrittura non c’è nessuna scissione fra vita spirituale e materiale, fra interiorità e sensibilità, ma è un tutt’uno, tanto che Paolo può dire: “Offrite i vostri corpi come sacrificio gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rom 12, 1), cioè offrite voi stessi, i vostri vissuti nei rapporti con gli altri, con il creato e con Dio stesso, per fare della vita un’offerta sull’esempio di Cristo.
Così il teologo Adolphe Gesché:
Nel cristianesimo tutto ruota attorno al corpo. Dal Verbo che si fa carne, al prologo del IV Vangelo, all’eucarestia, alla guarigioni di Gesù, al corpo che è la chiesa, dalla creazione alla resurrezione e all’escatologia… il cristianesimo si presenta come un trattato del corpo. Dopo il Nuovo Testamento non è possibile parlare di Dio né dell’uomo, né di morale, né di vita eterna senza parlare ogni volta del corpo”.
Egli vive in pieno la sua “terrestrità”: nasce da una giovane di nome Maria, in un preciso contesto, cresce e si fa adulto nell’anonimato in tutto simile agli altri. Nella vita pubblica non si ritrae dal mondo, a differenza del Battista. Non adotta tecniche particolari di ascesi come gli esseni e i “monaci” del Qumran. Non si erge sopra gli altri, come gli scribi, i farisei, i sadducei, o la casta sacerdotale, eppure è un maestro, un grande maestro e parla con autorità.
“In tutto simile agli uomini eccetto che nel peccato”
Gesù condivide la vita di tutti: va di villaggio in villaggio, di città in città, entra nelle case, chiama, ascolta, accoglie, ama e si fa amare, si china sui malati, prova compassione, partecipa delle debolezze degli uomini fisiche e spirituali, si dà “tutto a tutti”.
Gesù ha fatto suo tutto ciò che è umano
Cristo non ha rinnegato niente di ciò che è umano.
“Dell’uomo Dio ama la carne e il sangue, il corpo, il mangiare e il bere; ne ama il piacere e l’amore, la bellezza e la fatica; ama i suoi giorni e le sue notti, ama gli anni e i secoli che ne compongono la storia” (Pohier).
E quando ci presenta il Padre, lo fa attraverso le figure della realtà quotidiana: i fiori dei campi e gli uccelli del cielo, il fico che annuncia l’estate, i pescatori con le loro reti, il pastore e le pecore, la chioccia che raccoglie i pulcini, la massaia che impasta la farina col lievito, la terra e il seme…
Il Regno è una tavola imbandita, un banchetto condiviso dove si trovano accomunati giusti e peccatori, farisei e prostitute, senza divisioni e gerarchie, o meglio, con gerarchie capovolte.
Ed è proprio in una di queste “tavolate”, l’Ultima Cena, nell’imminenza della morte, il momento culminante della celebrazione del corpo.
Qui, attraverso il cibo consumato insieme ai “suoi”, gente non certo speciale, chiesa di peccatori fragili e dubbiosi, Gesù esprime in maniera reale, concreta, radicale, la sua assoluta dedizione agli uomini donando il suo corpo.
Un normale, ”banale” pranzo diventa nodo cruciale dell’incontro fra l’uomo e Dio
Così un momento abituale, quotidiano, come il sedersi a tavola e mangiare insieme, diventa il nodo cruciale risolutivo dell’incontro fra Dio e l’uomo.
“Questo è il mio corpo dato per voi”.
Il corpo del Signore è il dono, che diventa per noi il comandamento assoluto: quello di amare come Lui ha amato, nel corpo di ogni fratello. (Mt 25, 31-46), in un continuo dinamismo fino a quando “Il Signore Gesù trasfigurerà questo misero corpo, per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3, 21).
“Glorificate dunque Dio con il vostro corpo” (1Cor 6, 19).
Leggi anche:
Parimbelli