Papa Francesco e il Concilio. La sua visione della Chiesa

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Tema difficile, questo: papa Francesco e il Concilio Vaticano II”. Difficile per il carattere vasto dei due termini del confronto: dieci anni di un pontificato innovatore, complesso, ammirato e discusso, da una parte, e il Concilio con la congerie di documenti, di temi, di stili che ne sono derivati, dall’altra. Diventa necessario, allora, correre il rischio di cogliere soltanto qualcosa – possibilmente significativo – da quel molto.

Papa Francesco, la Chiesa popolo di Dio. La “Lumen Gentium”

Il tema “popolo di Dio” è portante di tutto il Concilio e, in particolare, della Lumen Gentium, una delle quattro “Costituzioni” conciliari (le altre sono, come noto, la Sacrosanctum Concilium, sulla liturgia, la Dei Verbum, sulla Bibbia e la Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo moderno). Tema portante perché su di esso si innestano sia le altre costituzioni, sia in generale il ripensamento di tutta la visione della Chiesa. Noi non abbiamo, qui, la possibilità di andare a verificare tutte le citazioni implicite ed esplicite che Papa Francesco ha fatto dei documenti conciliari. Possiamo soltanto citare alcuni suoi atteggiamenti, modi di pensare e di dire, che sono significativi di quella fedeltà. 

Papa Francesco critica spesso la Chiesa. E’ importante capire perché

Impressiona, in tutto il vasto magistero di papa Francesco, la sua frequente critica alla Chiesa. Se si dovesse fare un’inchiesta sulle critiche alla Chiesa che vengono dai personaggi pubblici, sia laici che ecclesiastici, non ci sono dubbi: Papa Francesco stravincerebbe. Nessun personaggio noto ha criticato la Chiesa quanto l’ha criticata lui: critiche a vescovi, preti, laici, parrocchie, diocesi… Ha criticato duramente la “sua” curia, ha criticato modi di dire, di fare, nuovi o consolidati, che si incontrano nella Chiesa. Come si spiega questa “mania critica” verso la Chiesa da parte del capo della Chiesa? La ragione, semplice al limite dell’ovvio, è che papa Francesco ha in mente una idea di Chiesa che contrasta fortemente con la Chiesa concreta che lui e noi ci troviamo davanti. La sua critica è il segno certo di una qualche forma di delusione, qualche volta cocente, di fronte a una Chiesa che c’è e di una nostalgia, qualche volta struggente, di una Chiesa che non c’è più. 

Contro il clericalismo

Si potrebbe dire, con una formula forzatamente riassuntiva, che la critica del Papa alla Chiesa è figlia di un certo “evangelismo”, un po’ sudamericano e un po’ gesuitico. In Sud America hanno luogo tuttora forme di cristianesimo di piccole comunità che leggono la Bibbia, forme concrete, nuove e calorose, di popolo di Dio. E la spiritualità gesuitica, da parte sua, è anche ritorno alle sorgenti, radicalismo, vangelo vissuto “sine glossa”. Tutto questo, e molto altro, può giustificare il disagio di papa Francesco di fronte alle carenze della Chiesa. Anzi: si potrebbe notare che, forse, il disagio aumenta quando quelle carenze non vengono da un peccato isolato di qualche credente, ma da abitudini che si sono incrostate sulla Chiesa e che molti cristiani non riescono più a vedere.

Le abitudini che si sono incrostate sulla Chiesa urtano Papa Francesco

Si capisce, se si tiene presente tutto questo, perché papa Francesco attacchi spesso il clericalismo. La chiusura sul proprio mondo e il potere sui fratelli nella fede invece del servizio è ciò che più urta papa Francesco. E’ uno degli aspetti della Chiesa che si vede di più e che più confligge con una Chiesa delle origini e con la Chiesa ideale che sonnecchia, come un sogno bello e rassicurante, nel cuore del Papa. 

Sinodo e stile sinodale

Il “ritorno alle origini” di papa Francesco, il ritorno a una Chiesa più popolo di Dio, più conciliare, si esprime di un’altra “fissazione” tipicamente bergogliana: il tema del sinodo. Papa Francesco ha sdoganato quel termine. Se si fa mente locale sui decenni immediatamente successivi al Concilio, il sinodo era soprattutto il “sinodo dei vescovi” che il Concilio e Paolo VI avevano voluto come una forma istituzionale di collaborazione fra Papa e vescovi e come prolungamento della stagione conciliare. Dal 1967 ad oggi hanno avuto luogo 15 “assemblee generali ordinarie” (la sedicesima “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione” è in programma per il prossimo ottobre) e una decina di assemblee “speciali” su vari temi variamente urgenti.

Del tema parlerà Paolo Vavassori in un successivo articolo. Qui vorrei solo far notare che il termine è passato da un significato prevalentemente ecclesiastico (“dei vescovi”) a un significato prevalentemente ecclesiale (“Per una chiesa sinodale”). E anche questo tratto è un altro evidente lascito del Concilio. La prassi della Chiesa deve sempre più “tradurre in pratica” l’idea originante della Chiesa popolo di Dio del Vaticano II. 

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Rocchetti

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