I preti giovani. Le paure. Urgente tornare alle radici

I preti giovani, la Chiesa, il presente che fa paura. Dibattito/02
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Il dibattito ha offerto molti spunti.
Don Goffredo Zanchi, storico della Chiesa, cerca le ragioni di alcune scelte.
E si capisce che sono ragioni che vengono da lontano

Non si trova il tempo per pregare

Quanto pubblicato da Daniele Rocchetti sulle scelte discutibili di alcuni preti giovani, induce a cercare spiegazioni per individuare le cause del disagio. Nel discutibile richiamo del sacro, vedo la richiesta legittima di conferire un maggiore spazio alla dimensione spirituale nella Chiesa, oggi in difficoltà nella vita di preti e laici.

Si prega poco e la visione di Dio è lontana dal Vangelo

Non mi sembra di esagerare se richiamo le carenze della pratica quotidiana della preghiera, della diffusa incapacità che si riscontra tra i fedeli di raccogliersi, dell’approssimazione della comune visione di Dio, spesso molto lontana dai contenuti evangelici. L’azione pastorale delle nostre comunità trova difficoltà a comunicare i valori di un’autentica pietas   per l’inadeguatezza o addirittura per la mancanza di proposte perchè nell’elenco delle infinite cose da fare la formazione religiosa occupa spesso gli ultimi posti a vantaggio delle attività esterne. 

La Chiesa assorbita dal “sociale”

            Ora questo non è casuale, ma è la conclusione di una ben definita parabola storica. Le comunità cristiane con i pastori che le guidano hanno subito da almeno un secolo un forte sbilanciamento: sono state strappate dall’attenzione alle esigenze dello spirito e quasi catapultate in quella esteriore dell’impegno sociale, finendo col trascurare la motivazione evangelica, che pure ne doveva essere la fonte di ispirazione.

Questo processo è iniziato più di un secolo fa, quando per arrestare la crescente secolarizzazione, la parrocchia riuscì a costruire una società marcatamente cristiana in grado di soddisfare non solo i tradizionali bisogni religiosi dei fedeli, ma anche quelli sociali e del tempo libero.

La parrocchia si è costruita una sua società marcatamente cristiana

Questo ha comportato uno sviluppo enorme di strutture come oratori, banche, cooperative, leghe sindacali, orfanatrofi, ricoveri, ospedali, scuole ecc. Dopo mezzo secolo, quelle più spiccatamente economiche e sindacali si resero autonome, ma molte continuarono a rimanere sotto la diretta gestione ecclesiastica.

Questa impostazione conobbe delle critiche. Fin dall’inizio la maggioranza del clero bergamasco era contraria a questo crescente impegno nel sociale, sostenuto invece da una forte ed attiva minoranza, che godeva dell’appoggio dei vescovi. Molti avvertivano il pericolo che il clero e il laicato fossero distratti dalla vita spirituale e allontanato dall’esteso mondo delle devozioni che dominava la pratica religiosa. Il pericolo però fu contenuto sia per la diminuzione delle istituzioni sociali della parrocchia, liberata dalla responsabilità di gestire le banche e le leghe, sia per il numero elevato di preti e volontari addetti a quelle rimaste in gestione, e da ultimo, per la relativa semplicità di governo dovuta ai minori adempimenti burocratici richiesti dallo Stato.

Riprendere il primato della vita spirituale

            Dopo la seconda guerra mondiale le condizioni, che hanno reso gestibile il sistema, sono progressivamente venute meno. Non solo, ma la parrocchia ha perso il monopolio delle attività ricreative con il conseguente allontanamento delle famiglie, che nel tempo libero sono rimaste attratte da altre proposte più allettanti. Molte strutture però sono rimaste con il loro pesante fardello, che esige impegno e tempo. D’altra parte, non possono essere frettolosamente dismesse prima di un discernimento della loro utilità pastorale. Questo porta fatalmente a dedicare meno tempo all’attività formativa dei fedeli, le cui richieste di natura spirituale si fanno più esigenti.

Il prete si trova diviso fra i molti impegni utili e quelli necessari per il suo compito di pastore

Con la diminuzione del clero, oggi è frequente il caso del prete solo in parrocchie di qualche migliaio di abitanti, che deve rispondere della gestione di alcune strutture e nello stesso tempo dedicarsi alla formazione spirituale dei fedeli delle varie fasce di età che richiederebbero una pastorale specializzata secondo le varie categorie – ragazzi, giovani, famiglie – che un singolo prete non può possedere.

In sintesi, vi è l’esigenza di una più intensa vita spirituale e liturgica, di una più accurata formazione cristiana, di una specializzazione pastorale per una nuova professionalità presbiterale capace di guidare le persone. Ma l’impegno della gestione degli immobili e di eventuali opere sociali sottrae tempo ed energie. Il disagio della vita pastorale dipende molto da queste condizioni di una vita impossibile umanamente e cristianamente.

Questo esige un serio ripensamento della vita e delle attività parrocchiali. La vita del prete deve essere liberata e riorientata, perchè possa liberarsi da un ritmo caotico e disordinato, che impedisce il minimo di concentrazione e di riflessione per lo studio e la preghiera.

Il card. Martini: “La dimensione contemplativa della vita”

            L’esigenza di una cura ed attenzione alla dimensione spirituale emerge molto bene dall’esperienza raccontata da Paolo Vavassori nell’articolo qui pubblicato Cronache di un tavolo sinodale. Esperienze simili di Chiesa domestica, non certamente intimistiche ma con positivi riflessi sulla vita liturgica parrocchiale, vanno debitamente valutate e tenute ben presenti nella progettazione pastorale odierna.

E’ sempre più necessaria una solida formazione spirituale

L’importanza della pratica della preghiera e di una solida formazione spirituale, basata sulla Bibbia e sui classici della spiritualità cristiana, nella convulsa società moderna era stata ben intuita dal card. Martini, che dedicò la sua prima lettera pastorale La dimensione contemplativa della vita, del 1980. Indicava in questo atteggiamento la radice e il punto di partenza della testimonianza e dell’impegno autenticamente cristiano in una città convulsa e secolarizzata come Milano.

Ritengo questo classico martiniano ancora di grande attualità e lo segnalo all’attenzione dei lettori. E’ una lettura illuminante e mantiene tutta la sua attualità.

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