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I preti giovani, la Chiesa, il presente che fa paura. Dibattito/02

Da laico nella città – Rubrica a cusa di Daniele Rocchetti

Continua il dibattito sul tema.
Altre testimonianze, altri punti di vista
  • “Non è il mio specifico”. Troppo concentrati su noi stessi. Qualcuno scriveva: “Quando il presente è problematico si cerca sempre la radicalità degli altrove”. Che il presente sia problematico è sotto gli occhi di tutti, anche di noi preti e proprio per questo la paura fa cercare altrove, un altrove che spesso diventa desiderio di una terra promessa, all’indietro o in avanti, con fughe che non affrontano il presente.
  • Spesso sento da confratelli: “Ma questo non è il mio specifico”. Non è mio specifico l’Oratorio, non lo è la scuola, non lo è l’accompagnamento spirituale, non lo è il Cre, non lo è andare dai malati, non lo è lo stare in chiesa… Mi chiedo cosa sia allora? Certo, è più rassicurante una liturgia secondo le rubriche, una pianeta ricamata giardino, un merletto di lino a punto rinascimento. Ma lo è anche una liturgia aggiustata su misura dal presidente che si sente unico gestore del sacro, con protagonismi e fuochi d’artificio per strabiliare, lo è anche il volere essere originali a tutti i costi dimenticando che l’originalità è già nel Vangelo.
  • Posso dirla tutta? Mi pare che il Covid sia diventato l’alibi per il “meno sbatti possibile”. Insomma, anche noi preti non dobbiamo dimenticarci che il pane va guadagnato. A volte ho la sensazione che la consapevolezza di non essere noi i salvatori ci renda dimissionari e troppo concentrati su noi stessi, con una sorta di egolatria che perverte non già l’essere preti ma l’essere uomini. San Paolo, che forse aveva a che fare con situazioni un po’ simili alle nostre, esortava nel Signore Gesù Cristo, coloro che vivevano in continua agitazione –altra forma della paura – a mangiare il proprio pane lavorando in pace (2Ts 3,11-12).
  • Si ricerca un altrove che non esiste. Condivido molto soprattutto il fatto che “Nel periodo di crisi si ricerca la radicalità dell’altrove”. Però un altrove che non esiste. Una paura di perdita di autorità più che autorevolezza.  La società che – anche in politica – si radicalizza (in radici però ideali e non reali) impedisce un vero dialogo che per il credente nel Dio di Gesù Cristo dovrebbe invece essere la sua vera identità, somiglianza del dialogo tra Dio e l’Uomo che ci ha donato il suo farsi Carne. 
  • Si rischia un futuro della Chiesa ancora più isolata e fuori dalla storia. Mi trovi molto d’accordo su ciò che hai preso in analisi e hai scritto. Questo modo di vivere da preti non solo fa riflettere ma a me, a volte, fa anche un po’ paura perché prospetta un futuro di chiesa (nel suo ambito/ambiente presbiterale) che potrebbe essere ancora più isolata e “fuori” dalla storia…e ti garantisco che chi vive questo tipo di stile sacerdotale non si pone grossi dubbi, problemi e questioni… sono gli altri che sbagliano, loro i difensori della giusta idea di chiesa che non si può svincolare dalla tradizione!
  • Vera anche la questione della disaffezione ai momenti di fraternità che già, per le modalità con cui sono attuati, sono faticosi e poco predisposti ad un confronto sereno e, soprattutto, che sappia aprire gli occhi sulla realtà. Laddove la “fantasia dello Spirito” potrebbe attecchire e agire meglio, cioè nel confronto tra preti, ahimè la “materia prima” (i preti stessi) vive di paure, di scarsa intraprendenza e di un senso di obbedienza che spesso ti toglie dalla libertà e dalla responsabilità. Con questo resto comunque positivo e cerco di essere propositivo ma ti garantisco che è molto difficile!
  • Forse qualcosa nella formazione dei preti va ripensato. Devo dirti che purtroppo l’ho notato anch’io e ho condiviso la questione con altri preti, con i miei compagni di ordinazione e altre persone. È un interrogativo serio ma anche difficile da capire. Parto dalla mia classe di ordinazione che in quanto ad originalità non è da meno ad altre. C’è di tutto. Ma anche le frange che si trovano a loro agio con alcuni riferimenti eloquenti del passato sanno stare in questo tempo e dialogano con esso. Anche se tre o quattro fanno sempre più fatica ad accettare incarichi che vadano oltre la loro parrocchietta e l’uscita dai propri schemi mentali e dai riferimenti consolidati.
  • Vedo in loro, come in alcuni preti giovanissimi (sono questi che interrogano di più) un ricorso all’autodifesa e alla salvaguardia di ciò che è più sicuro e consolidato, un rifugio per non far la fatica di raccogliere la sfida di leggere e trovare i segni del Regno già presenti nella realtà e di una fede da risuscitare dentro l’umano. La posta in gioco è alta. Anche se molti sacerdoti, di media e avanzata età, stanno invece camminando molto in questo nuovo processo di dialogo e di riappropriazione del mistero dell’Incarnazione.
  • Personalmente mi sento tra quelli che desiderano non tanto e solo camminare bensì volare e far volare spogliandoci sempre più di un vestito che ha spesso soffocato la fede e la sequela (imitazione) di Gesù a scapito di una religiosità sovente al di là dall’assumere la forma del Vangelo. Mentre si aprono varchi interessanti il tuo interrogativo circa i preti giovani è serio e va analizzato. Io mi chiedo: ma nel cammino di formazione questi segnali non si sono visti e analizzati? I ragazzi hanno saputo nasconderli bene? È una reazione a una formazione troppo sbilanciata verso il futuro oppure c’è qualcosa da rivedere nel tipo di formazione in atto e soprattutto nel “come” la si sta proponendo. Non so. È solo una piccola e confusa reazione a una questione seria e grave che sta sempre più interrogandoci.
  • Da donna e catechista dico: in tanti vedo l’immaturità della scelta del sacerdozio. Da donna e catechista mi pare di capire che in questo tempo di passaggio emergano, più che in altri periodi, le immaturità di fondo di tanti che scelgono la strada del sacerdozio. In molti di loro c’è l’illusione che la grazia cancelli magicamente la natura ma non è così. In più, crescono convinti che siano loro i padroni della parrocchia.
  • Raramente ho visto preti capaci di una corresponsabilità reale. Tutti i preti che sono passati da noi l’hanno sempre evocata ma mai praticata. Anche tra i più bravi, resta un clericalismo di fondo che li porta ad avere sempre in mano le chiavi di ogni partita pastorale. Come facciano ad essere esperti di tutto è qualcosa incomprensibile. E’ chiaro la ragione per la quale le persone intelligenti stanno alla larga dai nostri mondi. Come Chiesa stiamo cambiando pelle. Servirà molto tempo per capire come stare nella nuova ed è comprensibile che qualcuno faccia tutto il possibile per conservare la vecchia. Uomini vecchi per una Chiesa vecchia. Altro che buona notizia!

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1 Comment

  1. Alberto Carrara ha detto:

    Riceviamo da Alberto Varinelli e volentieri pubblichiamo
    Caro Daniele, ho letto con interesse le tue riflessioni. Mi aggiungo ai confratelli che hanno offerto spunti di riflessione. Da parte mia, la questione centrale è la visione che si ha della Chiesa e della sua missione nel mondo. Non è un problema il fatto che a un prete piacciano i paramenti antichi, o la veste talare e il tricorno; se un prete giovane che ama questi abiti sa stare con i ragazzi, sa annunciare il regno di Dio e vive il Vangelo, pregando con la preghiera della Chiesa e spendendosi per gli altri, dov’è il problema? Il problema si pone, ad esempio, quando tra i preti emerge il desiderio che il pontificato di papa Francesco finisca presto, quando si rimpiange un’ecclesiologia superata dal Concilio, quando arbitrariamente si decide che quanto pubblica l’attuale prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede non è da seguire (senza rispondere alla domanda: “Perchè quanto scrivevano i prefetti Ratzinger, Levada, Muller o Ladaria era da ritenersi normativo? Non erano documenti ufficiali quelli come lo è quanto pubblica il card. Fernandez?). Ecco la questione: la “chiesa secondo me”, così che se mi è gradito il papa (o il vescovo) seguo ciò che dice, altrimenti no. E questo, purtroppo, non è solo del prete giovane nè del prete con la talare. Il clericalismo stenta a morire anche in chi è prete da decenni: il dato preoccupante è che la corresponsabilità con i laici è vissuta da pochissimi preti e il modello “il parroco sono io” impera ancora nella stragrande maggioranza del nostro clero.

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