Ciao Daniele. Rispondo al tuo articolo che come sempre solleva una questione rilevante e tendenzialmente volutamente taciuta.
La questione della distribuzione del clero effettivamente richiederebbe di essere affrontata come Chiesa nel suo insieme (laici, preti, vescovo ecc.). Il problema è che si guarda la contingenza dell’assegnazione degli incarichi presi dalla preoccupazione di far quadrare i conti senza uno sguardo di insieme sul percorso che le comunità e la Chiesa intera è chiamata a vivere e senza una prospettiva / un sogno per il futuro.
Non metterei tanto la faccenda in una dialettica tra clero e laici. Piuttosto vedo un divaricazione netta tra due visioni diverse. Da una parte la gestione della governace capace di fare rete tra tutte le componenti ecclesiali e di accogliere la sfida della complessità. Dall’altra parte, sta, invece, un’amministrazione delle cose preoccupata di salvaguardare la forma esteriore della parrocchia tridentina. La modalità di approccio alla realtà fa la differenza e la si ritrova su ogni argomento. Riguarda trasversalmente clero e laici.
Sinodalità significa tenere tutti in considerazione. Ma anche avere a cuore la realtà – il vissuto concreto. A volte la gerarchizzazione della vita ecclesiale (lontana dallo spirito del Concilio ma alquanto diffusa) è un ottimo modo per non misurarsi con la vita delle persone e dei territori. Una chiesa asettica, intonsa perchè mai a contatto con la vita, immacolata non perchè pura ma perchè mai usata, impolverata sullo scaffale delle cose invecchiate perchè dimenticate anzichè consumata dalla passione per l’esistenza.
Dalla preoccupazione per la “gestione del personale” si dovrebbe passare alla passione per il cammino delle comunità e delle diocesi. Ciò salvaguarderebbe anche le relazioni tra preti e comunità e tra prete e prete. Forse anche quella tra preti e vescovo. Si potrebbe dire “abbiamo qualcosa in comune”.
Le nomine tenute nascoste fino all’ordine di scuderia e pubblicate ma mai condivise sono figlie di una mentalità individualista che genera divisioni anzichè relazioni. Non è solo un problema di sinodalità, è più un’inammissibile assenza di spirito comunitario.
I preti dovrebbero farsi sentire. Vero. Sembrano ammutoliti e dimessi. Speriamo che almeno i laici abbiano un po’ di voce.
1 Comment
Quella casa tra le case che è la parrocchia è una casa particolare.
Oggi abitata da chi prova a seguire i passi del Nazareno, domani da chi passerà solo una volta, metterà il naso, per sentire nuovamente il profumo dell’incenso, per un funerale, una preghiera per un grande dolore, per un figlio, per lo sposo, la madre.
E che quella casa tra le case sia di tutti è difficile da sostenere e mantenere nel tempo.
Ieri e ancor più oggi. Ma che lo sia, di tutti, segno e simbolo, luogo e altro ancora, è tesoro da custodire.
Perché il regno è oltre, perché lo Spirito soffia dove vuole, custodendo e ravvivando quel fuoco che, a tratti, vorremmo imprigionare.
Vivo in un paesino di montagna da 25 anni.
Tre i preti che in questi anni si sono avvicendati nel condividere i passi.
Uomini buoni, uomini veri, gli ultimi due senza abitare nella casa parrocchiale ma vivendo in quella del paese vicino.
Con ognuno abbiamo camminato, e stiamo camminando, cercando di stare al passo del Nazareno, lo sguardo fermo su di lui.
La preghiera, la fraternità, la carità, la comunione.
Altri preti arriveranno negli anni, accettando di camminare fin quassù, di abitare quella casa tra le case che accompagna la vita di tutti, – qui possiamo ancora dire tutti – nella quale tutti possono entrare, la porta sempre aperta, lasciando che lo Spirito soffi ancora dove vuole.