Volete sapere qualcosa dell’uomo don Sergio ? Era una persona di media statura con un fisico non prestante, anzi delicato, quasi fragile, ma dotato di una forza di attrazione che emanava da ogni aspetto della sua figura. Vedendolo da lontano, da un banco della sua chiesa, per esempio, poteva apparire come una comparsa rispetto alla scena di una celebrazione ma questa era la sua forza, la sua virtù, la sua capacità di essere con tutto se stesso al servizio di qualcosa di più grande senza prevalere, ma anche senza tirarsi indietro, anzi incidendo di più sulla realtà che stava costruendo che stava vivendo.
E questo atteggiamento istintivo e insieme studiatissimo frutto di qualità innate e, insieme, di un esercizio costante a livello interiore e intellettuale lo distingueva completamente dagli altri, ma insieme gli consentiva di stare con tutti. Tutti vuol dire tutti. La sua non era solo una missione da “prete”: fare accoglienza, avere attenzione, vicinanza agli ultimi, no, gli ultimi erano anche i primi: per un qualche potere, possesso di beni, successo. Ma se è vero che questi “primi” trovavano in don Sergio un altro alla loro altezza, è altrettanto vero che la corrente che si formava con lui era molto in profondità, così in profondità da toccare quella soglia dove ogni persona è uguale.
Le sue omelie erano un invito ad aggiungere ai propri modi di credere altre aperture, altre libertà
E risalendo ogni volta, quotidianamente, da quelle profondità misteriose poteva sentire ed essere sentito vicino da ognuno che lo incontrasse o che lui incontrava. Quando nei primi tempi in cui lui era a Redona fiumi di gente ascoltavano quelle omelie in cui si parlava di fede adulta, di fede matura il bello era che questi appelli al cambiamento erano un invito a capire -nel senso latino di càpere – “contenere” – un invito ad aggiungere ai propri modi di credere altre aperture, altre libertà. E questa passione per una vita più vera era offerta con una tale disponibilità che ognuno si trovava coinvolto in un modo suo e incominciava un cammino nuovo e personale
Don Sergio non era un capo, uno che ti dava delle istruzioni da seguire, anzi, se ti affidava un compito, se chiedeva una collaborazione era perché aveva trovato in te un’intesa di fondo e questo bastava. In tutti i campi in cui ha lavorato per far crescere la comunità, la liturgia, la catechesi, l’impegno sociale e culturale è chiaro che aveva una sua visione, una sua linea. Ma il metodo con cui le proponeva era quello di una opportunità propizia, di un’occasione feconda di risvolti positivi che tu intuivi soltanto e che lui invece aveva già metabolizzato. Un uomo così, ricco di tutte queste qualità, poteva, sapeva davvero stare con tutti : con i bambini, con gli anziani, con gli handy – che indico semplicemente così – con questo abbreviativo gentile – con i numerosi boliviani e i primi senegalesi ormai approdati tra le case di Redona, con tutti usando l’unico metodo del contatto semplice, diretto, privo di artifici ma anche di richieste impossibili.
La porta della casa parrocchiale aperta a tutti non era il primo punto di un programma pastorale era una realtà quotidiana con le sue luci e le sue ombre, i momenti sereni e le grandi fatiche. Certo niente era lasciato al caso ma nello stesso tempo la atmosfera così curata, così preparata in cui ti trovavi, in qualsiasi situazione tu fossi, qualsiasi fosse il motivo per cui eri lì, ti lasciava respirare, ti invitava ad avere sollievo. E questa capacità di cura dell’ambiente domestico e insieme pubblico della casa in cui si era trovato ad abitare portava don Sergio ad interrogarsi a fondo anche sugli altri luoghi.
Il teatro Qoelet, luogo di accoglienza come la casa
E’ per questo che il cine-teatro Aurora è diventato il Qoelet – sala della comunità – con un intervento non solo di tipo strutturale che lo ha portato ad essere anche un modello per tante altre sale parrocchiali, ma soprattutto è per questo che le due chiese e la casa stessa hanno visto rinnovarsi la propria esistenza. Certo la realizzazione di queste imprese era possibile per la convinzione e la collaborazione di tutto un mondo redonese e non attorno a don Sergio, ma per iniziare e continuare il suo apporto è stato più che decisivo.
Ho parlato fin qua in modo forse un po’ troppo approssimativo di chi era don Sergio. Vorrei aggiungere ora, se mi è permesso, qualche piccolo ma per me significativo momento che ho vissuto in comunità con lui. Per esempio quella volta, erano i primi tempi che frequentavo Redona, quando, seguendo le sollecitazioni a partecipare anche ad altri momenti celebrativi oltre l’eucarestia domenicale, ero andata con un po’ di perplessità ad un battesimo pomeridiano. Eravamo un piccolo numero di persone che seguiva il rito celebrato non so perché a metà della chiesa; forse perchè, lo si capiva al volo, la famiglia del bimbo era un po’ scombinata. Don Sergio era solo, ma tutto veniva eseguito con estrema precisione. A un certo punto, quando i principali gesti di rito erano già compiuti e il bambino era appena stato nominato re, sacerdote e profeta don Sergio si ferma e ci dice : “Ma voi pensate che Dio non ami in questo modo anche l’ultimo bambino cinese che sta nascendo in questo momento ?”. Parlava a se stesso oltre che a noi e intanto apriva orizzonti sconfinati oltre Redona.
Le prime comunioni. La felicità passava in quel momento
Le prime Comunioni. Come, penso, saprete le prime Comunioni sono un tornante nelle liturgie delle comunità parrocchiali – un fiume di bambini che devono fermarsi nell’ansa della chiesa e vivere il cosiddetto “giorno più bello”. Ero presente, una volta, perchè c’era un piccolo parente tra i comunicandi. Don Sergio all’inizio della celebrazione li stava guardando tutti e poi dice : “Questa notte ho sognato i vostri genitori…” Il bambino che conoscevo si gira subito verso il papà e la mamma alle sue spalle e dice : ” E’ vero ? ” loro sorridono e assentono subito con il capo – la felicità passava in quel momento.
E che dire dell’invenzione di far cantare “Vieni mia tutta bella…” nella celebrazione dei matrimoni ? Certe “novità” sono possibili solo se c’è un solco ben arato nella preparazione e nella attuazione di una festa come quella.
I funerali sono stati per molti anni i riti che ho più frequentato dopo aver ascoltato per diverse volte l’invito di don Sergio a farne un momento comunitario. Eravamo un gruppetto sempre presente e ormai così discretamente amiche che, una volta arrivate in chiesa, nei banchi a sinistra dell’altare, bastava solo un cenno per capire chi avrebbe letto le letture e le preghiere, chi sarebbe passato tra i banchi all’offertorio, chi si sarebbe mosso per qualche improvvisa necessità. Ma tutti questi servizi erano ampiamente ripagati dalla partecipazione a una delle occasioni più belle per stare, per così dire, vicino a don Sergio. Impagabili le sue omelie sempre così calibrate sul momento delle esequie e sulla persona per cui venivano celebrate e capaci di comunicare emozioni vere, ma non eccessive.
Il filo rosso nascosto nella matassa della vita del defunto
Una volta, in particolare, ricordo come seppe trasformare un’atmosfera tutto sommato molto formale. I presenti erano numerosi : parenti, amici, conoscenti di una signora molto anziana educatamente tutti in piedi – come si usa ora – e tutti, almeno all’apparenza, “lontani”. Sembrava che la persona morta fosse per loro un’estranea e invece don Sergio fece capire che per lui non lo era e che regalava a tutti “il filo d’oro nascosto nella matassa della sua vita ” di una vita finita eppure presente.
Poi si è ammalato ed è morto anche lui. L’ho incontrato da vicino un’ultima volta per un semplice scambio di saluti ma, mentre avevo il suo viso davanti al mio ho abbassato vigliaccamente lo sguardo : nei suoi occhi non c’erano più i riflessi del suo dolce calore ma i bagliori della morte. Quando era nei terribili momenti della fine inginocchiata in un banco in chiesa piangevo angosciata per non poterlo vedere “vivo” ancora una volta – avevo pregato invano di poterlo fare, ma era giusto così. Poi a casa a tarda notte ho dormito, come si dice, con un peso sul cuore. La mattina una persona amica mi avvisa, mi dice che si può andare a visitarlo. Mi precipito fuori, arrivo con un mazzo di freschissimi settembrini che avevo in casa, nel soggiorno lo vedo già circondato da molti amici e dopo poco dico alla Mari appoggiata alla parete di fronte a lui : “Ma come mai è così bello? “: e lei :” è il suo ultimo regalo”. Era vero.
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