Generazioni sperdute: vecchi e preti

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Si parlava in passato di “generazione perduta”.
Oggi si dovrebbe parlare di “generazione sperduta”, senza agganci.
Due, tra le altre: vecchi e preti

Siamo una generazione sperduta. “Sperduta”, non “perduta”. L’espressione “generazione perduta” è stata usata per le persone nate tra il 1883 ed il 1900, in particolare “i ragazzi del ’99”, che compirono 18 anni sul fronte della prima guerra mondiale. E’ stato Ernest Hemingway a renderla famosa nel suo libro “Festa mobile”. Ma si parla di “generazione perduta” quando una intera generazione non riesce a trovare il suo posto, il posto che le spetta, dentro una società, in un particolare periodo storico. 

Vecchi

Ma molti di noi, oggi, si sentono una generazione non perduta, ma sperduta. Cioè smarrita, senza riferimenti, senza simpatie, senza compagnie, soprattutto. 

Ci pare che la generazione sperduta per eccellenza sono i vecchi. Esistono svariate categorie di vecchi, evidentemente, categorie e sottocategorie, tutte variamente sperdute. Una delle sottocategorie più curiose di vecchi è quella dei preti vecchi. I preti vecchi sono anche loro, va da sé, generazione sperduta. E per due motivi: perché vecchi e perché preti.  Vecchi come tutti i vecchi. 

Il corpo non risponde più. Molti sono tagliati fuori da internet e dintorni: due volte vecchi

Il corpo si rifiuta sempre più di fare quello che dovrebbe. C’è quel ginocchio che scricchiola quando scendo le scale, spesso mi capita di camminare in maniera goffa, quel raffreddore che non passa mai, quel sonno spezzettato di notte, quello stomaco che digerisce con fatica… eccetera eccetera. Conosciamo preti, soprattutto anziani, che non sanno cos’è uno smart, non usano il computer, qualcuno non sa neppure che cosa è una mail. Ci pare che non sia esagerato dire che dentro la nostra categoria di vecchi esiste una consistente categoria di analfabeti digitali. Non tutti, certo. Esiste, in effetti, un gruppo di ottuagenari che vivono di computer. Ma la brillante ostinazione di questi dà ancora più rilievo alla scandalosa incompetenza di quelli. 

Preti vecchi: i più sperduti

La sottocategoria di vecchi e, in aggiunta, preti offre però tratti propri da manuale. Abbiamo fatto per tutta la vita le cose che oggi non si fanno più. Altri continuano a fare le cose che noi non riusciamo più a fare. Celebriamo messe dove spesso siamo più noi che celebriamo che i fedeli che partecipano (lo scorso 2 febbraio, solennità della Presentazione del Signore, in duomo, noi canonici celebranti eravamo sei. I fedeli due). Siamo disponibili a confessare la gente che non si confessa (quasi) più. Abbiamo tempo per tenere colloqui con la gente, ma la gente preferisce uno psicologo che è più competente di noi e i colleghi di lavoro e gli amici del burraco (non so cosa sia ma mi dicono che è un gioco di carte che va forte) che sono più simpatici di noi. 

La Chiesa sognata resta solo sognata. Molti preti giovani sono più vecchi dei nostri vecchi parroci

Ma ciò che ci fa una generazione sperduta per eccellenza sono, per noi uomini di Chiesa, i mancati legami di Chiesa. Noi preti vecchietti siamo figli del Vaticano II, abbiamo vissuto la riforma della liturgia, abbiamo sognato una Chiesa “diversa” e ci siamo rassegnati con difficoltà quando abbiamo dovuto constatare che la Chiesa diversa restava soltanto sognata. Adesso dobbiamo constatare che il Vaticano II è storia e influisce poco e stancamente sulla Chiesa di oggi e sulle riforme. Molti vescovi parlano molto di Vaticano II ma fanno poco nello spirito di quel Concilio.

Nei posti di responsabilità ci troviamo molte volte di fronte degli irriducibili arrivisti. Spesso sono stati nostri curati o nostri alunni: spesso avevamo già cattivi ricordi di loro e la realtà di oggi rafforza ulteriormente i cattivi ricordi di allora. I preti giovani – non tutti ma certamente la maggioranza – non sanno cosa è il Vaticano II e si comportano spesso come i nostri parroci con i quali noi avevamo litigato per realizzare la nuova liturgia del Concilio: si mettono delle belle sottanone nere, dei copricapi di altri tempi, amano le vecchie liturgie, il latino. Il seminario, ridotto a pochi clienti, non fa storie e ordina tutti. Basta che vogliano fare il prete. Come, non importa. 

Il seminario ordina tutti. Basta si abbia voglia di fare il prete. Come, non importa

La lista potrebbe continuare. Solo che se vogliamo trovare solidarietà, un po’ dell’entusiasmo di altri tempi, dove lo possiamo trovare? Ecco, appunto: siamo senza compagnie. O, ciò che fa quasi lo stesso, troviamo compagnie così striminzite, così scoraggiate, così impaurite che, il più delle volte, preferiamo restare soli. 

Per questo siamo una generazione, non perduta, ma sperduta, senza agganci. 

“Non mi farei più prete!”

Uno dei pochi amici preti che ho mi confida che, se dovesse “tornare indietro”, non si farebbe più prete. Il mondo e la Chiesa, troppo occupata del mondo, sono diventati inospitali.

Si farebbe, mi dice, monaco. Avrei una compagnia piccola, magari incasinata, mi dice, ma compagnia.

Pregherei di più e non sognerei di convertire il mondo intero. Mi accontenterei di convertire me stesso. Che è già una bella impresa. 

1 Comment

  1. stefano vitali ha detto:

    Beh non c’è che dire, panorama davvero desolante: ma l’avete creato voi. Se la gente non vi segue più chiedetevene la ragione!
    Chiese vuote, i giovani e non solo loro, vi voltano le spalle, ma vi siete mai chiesti il perché ? o anche lei pensa che tutto lo sfacelo in cui versa la Chiesa sia colpa del progresso? del frigorifero? avete avuto 60 anni di tempo per “rinnovare ” nel nome del Concilio e cosa siete riusciti a costruire? fatevi un serio esame di coscienza. O la colpa è sempre degli altri?

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