“Vexata quaestio” e di lunga data quella del rapporto tra cattolici e politica. Questione che investe molteplici profili: storici, teologici, ecclesiali, genuinamente politici. Con una marcata singolarità italiana: si pensi solo alla “questione romana” con la coda lunga di una relazione difficile tra laici e cattolici o si pensi alle marcate peculiarità della Dc, per quarant’anni riferimento politico unitario (o comunque largamente maggioritario) per i cattolici del nostro paese.
Impossibile tematizzare qui problemi sui quali disponiamo di una letteratura sterminata. Solo per conferire un aggancio all’attualità, prendiamo spunto dall’ultimo episodio evocativo della questione offerto dalla cronaca politica recente: l’asserito disagio di elettori e militanti cattolici PD a fronte dell’ascesa di Elly Schlein alla guida del partito. Nella circostanza abbiamo avuto conferma della discreta confusione che regna nella pubblicistica e nel dibattito pubblico. Anche in ragione delle menzionate peculiarità della storia politica nostrana.
Solo qualche esempio:
a) la circostanza di un partito per lungo tempo maggioritario quale la Dc ha instillato l’idea distorta che i cattolici fossero maggioranza nel paese e magari l’illusione che lo siano ancora;
b) la relativa unità politica dei cattolici con riferimento alla Dc ha oscurato la consapevolezza che il suo esteso elettorato fosse decisamente composito e non riconducibile per intero a un’appartenenza cattolica (celebre la perfida battuta di Andreotti già nel 1974 dopo il referendum sul divorzio: “sono più gli elettori Dc che non i cattolici”) ;
c) la diffusa propensione a fare coincidere un certo moderatismo Dc con una politica di ispirazione cristiana;
d) una qualche pigrizia intellettuale e culturale ovvero una tendenza a contentarsi a lungo della rassicurante sigla cristiana della Dc a discapito di una originale e creativa elaborazione genuinamente politica.
Per fugare diffusi equivoci, si devono coltivare almeno tre avvertenze spesso sorprendentemente trascurate.
La prima: il cattolicesimo è categoria della sfera religiosa e non politica. Una distinzione chiara già a Sturzo, che così si esprimeva: la religione è il regno dell’universalità, la politica della parzialità. Egli aveva messo nel conto che non tutti i cattolici del tempo si sarebbero riconosciuti nel suo Patito popolare. Non i più conservatori (“fossili”, li definì), ancorché – aggiungeva – buoni cattolici.
Seconda avvertenza: lungo la storia il “cattolicesimo politico” ha conosciuto molteplici versioni, anche assai diverse tra loro: reazionarie, conservatrici, moderate, progressiste; di destra, di centro, di sinistra.
Terzo: il cosiddetto “cattolicesimo democratico” – sigla che la storiografia più avveduta ha definito con precisione – è una parte e non il tutto del cattolicesimo politico. Segnatamente quella contrassegnata da due tratti principali:
a) il senso-valore dell’autonomia/laicità della politica e delle istituzioni;
b) un orientamento politico-programmatico riformista e progressista.
Non a caso esso ha conosciuto un rapporto difficile con la cosiddetta “linea Ruini”. Moro parlava del “principio di non appagamento” opposto al conservatorismo. Celebre la metafora degasperiana di un centro che muove verso sinistra. A motivo di una concezione della democrazia che Dossetti (che, con De Gasperi, stabilì una concordia discors) qualificò come “democrazia sostanziale”. Cioè un impianto che la integra e la arricchisce con la tensione all’uguaglianza e alla partecipazione. Gli stessi cattolici democratici, a loro volta, si distinguono in cattolici liberali e cristiano-sociali. In certo modo storicamente e rispettivamente eredi dei due summenzionati De Gasperi e Dossetti.
A differenza dei cattolici di orientamento conservatore, forse maggioritari tra gli elettori, i cattolici democratici in senso stretto difficilmente potrebbero riconoscersi nella destra-centro a trazione Meloni. La loro collocazione naturale è semmai nel campo progressista. Pongono male la questione coloro che, più o meno consapevolmente inclini a ipostatizzare il centro nella remota memoria Dc, mostrano una sorta di idiosincrasia verso la collocazione a sinistra. E persino verso la parola “sinistra”.
A ben vedere, i cattolici democratici su due issues cruciali come l’agenda sociale e la pace e la guerra – semplifico – potrebbero posizionarsi, diciamo così, più a sinistra del PD che abbiamo conosciuto. Basti pensare al magistero della Chiesa e di Papa Francesco. Semmai, nei confronti del PD a guida Schlein, anche ai cattolici democratici, questo sì, si pone effettivamente qualche problema sulle questioni cosiddette “eticamente sensibili” e sulla concezione dei diritti civili. Da non interpretare in senso angustamente individualistico. Su questo versante la neosegretaria PD farebbe bene a farne oggetto di una libera, franca, laica discussione interna tesa a operare una sintesi tra le culture politiche e le concezioni etiche che abitano un partito per statuto plurale. Al fine di elaborare mediazioni politico-legislative grazie alle quali i principi etici possano raccordarsi con la nostra società liberale e pluralistica. Comunque rinunciando a una stretta disciplina di partito quando siano chiamate più direttamente in causa ragioni che per loro natura attengano alle coscienze personali.
FRANCO MONACO, proveniente dall’impegno ecclesiale, già presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Milano, è stato a lungo membro del Parlamento, vicino alle posizioni di Romano Prodi.