
Forse uno dei motivi più rilevanti della scarsa audience del messaggio cristiano, oggigiorno, è che l’esperienza religiosa viene vista come una riduzione a schema della vita: ci si immagina che chi crede disponga di una sorta di prontuario per classificare ogni comportamento e scelta secondo le coppie appropriato-incongruo, accettabile-vietato.
L’edizione italiana della prima parte del carteggio tra uno dei maggiori teologi del Novecento e la donna che per un quarantennio gli fu accanto (Karl Barth – Charlotte von Kirschbaum, Un amore. Lettere 1925-1935, a cura di Beata Ravasi e Fulvio Ferrario, Claudiana editrice, pp. 253, 24 euro, ebook a 15,99 euro) non mira a soddisfare il nostro voyeurismo, ma testimonia di un tentativo di rimanere nonostante tutto fedeli al Vangelo, pure in una situazione complessa e magari contraddittoria, cercando comunque un modo per stabilire «un ordine nel disordine».
Nell’estate del 1925, quando per la prima volta incontrò la Kirschbaum, l’autore di un celebre commentario all’Epistola ai Romani aveva 39 anni e da 12 era sposato con Nelly Hoffmann, che aveva conosciuto a Ginevra e dalla quale aveva avuto cinque figli. Barth era pastore della Chiesa riformata svizzera; Charlotte von Kirschbaum, nata a Ingolstadt in Germania, era divenuta infermiera ed era andata interessandosi alla teologia frequentando una cerchia di studenti che a Monaco seguivano il parroco luterano Georg Merz.
Il volume di Claudiana comprende in effetti solo la prima parte di un cospicuo carteggio, fermandosi appunto all’anno 1935. In una delle sue prime lettere a «Lollo», Barth descrive lo stato di grazia ma anche di crisi interiore in cui si trova, dopo averla conosciuta: «Molto, molto dovrei, vorrei scriverti, ma sarà meglio lasciarlo non scritto. Ho passato la notte successiva quasi senza chiudere occhio e il mio sguardo andava di continuo verso l’angolo della mia scrivania, dove tu eri stata seduta, e mi dibatto nel grande enigma che tu rappresenti per me… Basta, non voglio dire sciocchezze». «Posso dirti soltanto una cosa – scrive Charlotte in risposta -, che forse non ho neppure il diritto di dire: semplicemente, dallo scorso mercoledì so di volerti bene, più di quanto io riesca a pensare. Se in precedenza non volessi saperlo o se effettivamente attraversassi questo mondo a occhi bendati, non lo so. Ma ora è cosi, ed è difficile».
Con Karl e Nelly – non senza comprensibili esitazioni e ripensamenti da parte di quest’ultima – la Kirschbaum stringe una sorta di accordo, nel segno di una Notgemeinschaft, una «comunione per necessità»: in particolare, con un ruolo che va ben oltre quello di una segretaria-dattilografa, aiuta Barth nella redazione di un’opera impressionante, la Dogmatica ecclesiale, che nell’edizione originale arriverà a contare 9200 pagine, ripartite in 13 volumi.
A partire dall’inizio degli anni Trenta, alle vicende personali – come mostra il carteggio – fanno da sfondo le ultime, convulse fasi della Repubblica di Weimar e l’avvento al potere in Germania del nazismo: all’epoca Barth, docente dell’Università di Bonn e iscritto al Partito Socialdemocratico Tedesco, ebbe un ruolo primario negli eventi che portarono al Sinodo di Barmen e alla nascita, nel 1934, della Chiesa confessante, in contrapposizione ai Deutsche Christen (i «Cristiani tedeschi») che rigettavano l’Antico Testamento e adottavano un’interpretazione arianeggiante del Nuovo.
Impedito a insegnare e a predicare, nel giugno del 1935 Barth tornò infine in Svizzera, accettando una cattedra che gli era stata offerta nella sua città natale, Basilea. Nelle polemiche di quel periodo, egli era stato consapevole che le sue prese di posizione non erano giustificate da una presunta superiorità morale, ma dalla volontà di obbedire alla parola di Dio: «Conosco fin troppo bene la sproporzione tra ciò che dico e ciò che sono. Ciò non di meno: sono seriamente convinto di quello che dico, e lo dico nonostante la piena consapevolezza della mia stoltezza e indegnità, non a nome mio proprio, ma, per così dire (o meglio non per così dire, ma effettivamente), con impegno. Non sono signore di me stesso».
Dopo il pensionamento di Barth, in Charlotte iniziarono a manifestarsi i primi sintomi di una malattia neurodegenerativa che renderà poi necessario il suo ricovero in una clinica. Barth continuerà a recarsi in visita da lei ogni domenica: «Quando la demenza renderà impossibile un vero e proprio dialogo – racconta Fulvio Ferrario nell’introduzione a Un amore -, il teologo cercherà di mantenere aperta la comunicazione cantando a Lollo gli inni della Chiesa evangelica, che avevano costituito la colonna sonora della loro vita».
Dopo la morte di Barth, nel 1968, saranno i suoi familiari a continuare la tradizione delle visite domenicali, fino alla scomparsa di Charlotte, il 24 luglio 1975.
La singolare «comunione per necessità» che si era instaurata cinquant’anni prima continuò, in altro modo, anche in seguito: la Kirschbaum fu sepolta nel cimitero di Hörnli, a Basilea, nella tomba della famiglia Barth, dove già era stato sepolto Karl e dove poi sarà inumata anche Nelly Hoffmann.