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Preparare il nuovo è necessario. E faticoso

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A proposito di Comunità Ecclesiali Territoriali (CET). A cura di NATALE CARRA

La diocesi di Bergamo è suddivisa in 13 Comunità Ecclesiali Territoriali (CET).
Il testo di riferimento è lo statuto.
L’art. 3 dello statuto precisa persone e organismi della CET.
Da ricordare, tra queste, in particolare e in rapporto alle interviste che verranno pubblicate,
il Vicario, il consiglio pastorale territoriale (CPT),
le “Terre esistenziali” (relazioni affettive, lavoro e festa, fragilità, tradizione e cittadinanza).

Dopo alcuni anni, abbiamo pensato di tentare un provvisorio bilancio.
Abbiamo posto cinque domande ad alcune persone impegnate nelle CET.
Rispondono in questa intervista i coordinatori delle terre esistenziali della CET 7 (Ponte – Valle s. Martino),

Cosa pensi della frase ricorrente: “ma c’era proprio bisogno delle CET”?

Se ci si ferma a quanto definito nello Statuto diocesano del 12 settembre del 2018 (Art. 1 – “….è un’articolazione diocesana che comprende parrocchie, unità pastorali, fraternità presbiteriali, comunità di vita consacrata e aggregazioni laicali, presenti in un’area geografica definita”) ne consegue che la C.E.T. assume i connotati di un organo istituzionale della struttura organizzativa della Diocesi di Bergamo. E’ pertanto una FORMA ORGANIZZATIVA, come sono i dipartimenti, le aree, gli uffici delle imprese pubbliche/private con cui una società, piccola o grande che sia, si determina e si organizza. Ne consegue che la C.E.T. non diventa una sovrastruttura/sottostruttura della DIOCESI, ma ne è parte, perché è la forma con cui si presenta e (vuole) appar(ir)e.

“CE N’ERA PROPRIO BISOGNO?”. Se la si vuole intendere solo come ri-organizzazione dell’esistente… forse anche NO!

Cosa c’è di uguale/diverso da prima?

  • Mantiene il VICARIO, quale referente locale, delegato del Vescovo
  • Raggruppa-unisce due (o più) vicariati già esistenti
  • Ma ….. definisce meglio la composizione della stessa, non più come realtà determinata dalla presenza di un vicario (da cui il vicariato), ma come COMUNITA’ ECCLESIALE TERRITORIALE = insieme delle realtà che compongono la Chiesa di un determinato territorio. Lo Statuto semplifica in “ORGANIZZAZIONE ECCLESIALE NUOVA E DIVERSA”.
    La questione ORGANIZZATIVA mette in gioco (VALORIZZA) in modo nuovo le RELAZIONI. Come ogni ri-organizzazione di un Ente/Servizio/Società nelle persone che ne fanno parte sono sollecitate delle attese determinate da diversi fattori:
  • Tipo e livello di coinvolgimento personale nella riorganizzazione;
  • Possibili opportunità di valorizzazione di sé e del proprio ruolo;
  • Cambiamenti di ruolo e del servizio esercitato nel contesto locale;
  • …Esempio: nelle imprese le riorganizzazioni sono sempre orientate al bene della società stessa, sebbene le ricadute che ne conseguono non siano sempre migliorative per tutti i partecipanti (vedi i licenziamenti…). Il percepito della (nuova) organizzazione, pertanto, è una dimensione strettamente personale e determinata dall’attesa che il soggetto stesso (TUTTI I SOGGETTI) ha nei riguardi del cambiamento in atto/richiesto. In sintesi crediamo che ce ne fosse bisogno della C.E.T., non certo come sovrastruttura, ma come stimolo a creare esperienze concrete di comunità fondate sulla fraternità così da essere davvero occasione di reciproco arricchimento tra tutte le persone, non solo di chi ne fa parte, ma anche per chi ne sa cogliere la ricchezza/umanità. Abbiamo fortemente bisogno di un nuovo modo di ragionare come Chiesa in dialogo con il mondo, e di pensare a come attivare e valorizzare le energie laiche. Il fatto che la CET incontri non poche fatiche ad agire a nostro avviso è sintomo, da un lato, delle difficoltà comunicative che stiamo vivendo; dall’altro della difficoltà, da parte di tutti, di guardare avanti piuttosto che indietro.

Chi ti ha coinvolto quattro anni fa? E come hai risposto all’invito?

A livello generale il coinvolgimento è avvenuto direttamente da don Angelo Riva, vicario della nostra CET a seguito di informazioni acquisite dallo stesso essenzialmente negli ambiti parrocchiali.

La risposta affermativa è scaturita dal desiderio di contribuire alla vita della Chiesa non tanto all’esecuzione di un compito pastorale, ma nell’identificazione di (nuovi) bisogni a cui la Chiesa locale non offre attenzione (e tantomeno risposte). Il pensiero è che ogni cristiano di buona volontà non possa tirarsi indietro da questo tentativo di dare nuova linfa al percorso cristiano del nostro territorio.

Ritieni positiva la scelta di distribuire il lavoro fondativo attraverso le cinque Terre?

La scelta di identificare le 5 “terre esistenziali” come punti di riferimento e chiarimento delle aree di (nuovo) interesse delle C.E.T. proviene da una valutazione a lungo elaborata nella Chiesa italiana (vedasi convegno di Verona) che aiuta (o dovrebbe farlo) a superare le continue obiezioni dei presbiteri che ritengono di avere un’autorità diretta sulla pastorale parrocchiale.

L’organizzazione dell’attività nelle 5 terre esistenziali è un buon esperimento ed è stimolo positivo per aiutare chi ne è disposto a riconoscere il suo spazio di esperienza. Il lavoro fondativo comunque non può essere affidato ed atteso esclusivamente dai coordinatori e componenti delle terre esistenziali.

Fondamentale appare la presenza (attiva) dei moderatori e vice-moderatori delle fraternità presenti nelle singole C.E.T.: senza il loro investimento e mediazione tra i presbiteri non può esserci un processo di creazione ed un vissuto delle C.E.T. La consapevolezza, quindi, è che si debba fare ancora qualche sforzo per far lavorare le TE insieme, e non come contenitori stagni.

La tua CET, a distanza di quattro anni, cosa ha “messo in campo” di significativo/positivo?

La nostra CET ha sperimentato diverse modalità di lavoro. In breve: attività di formazione per coloro che fanno parte del Consiglio Pastorale Territoriale; partecipazione alla creazione di una rete di relazioni nel territorio con altre realtà che si occupano di tematiche socio politiche culturali, legate anche alla fragilità; organizzazione di momenti seminariali su temi importanti.

Riteniamo che il lavoro svolto sia buono, ma siamo consapevoli che solo una piccola fetta del popolo cristiano del territorio abbia l’impressione che stia avvenendo qualcosa di innovativo.

Cosa riserva secondo te il prossimo quinquennio delle CET?

Nell’atto di istituzione del 12 settembre del 2018 si fa riferimento ad uno STATUTO “ad experimentum per un quinquennio”. Crediamo che tale experimentum avrà bisogno di un periodo più lungo di rodaggio, a fronte delle difficoltà di comprensione dei nuovi compiti e relazioni da intessere tra presbiteri e laici. Se da una parte vi è la paura di una qualche perdita di “potere-autonomia”, dall’altra si avverte difficoltà ad assumere ruoli e compiti diversi dal solito.

Condividiamo che il termine COMUNITA’ dell’acronimo C.E.T. sia l’elemento più qualificante della nuova riorganizzazione voluta dal Vescovo Francesco. Se non c’è modo di crescere e sviluppare un qualche percorso/esperienza in tal senso, anche sui piccoli numeri e, soprattutto, tra quanti “sanno di far parte di una CET”, diventa tuttavia difficile far comprendere ai credenti quale possa essere il significato ed il motivo di “parlare di C.E.T.” anziché di Vicariato, anche perché già oggi pochi (o quasi nessuno) conosce cosa sia il Vicariato e quale implicazione abbia per il proprio cammino di fede.

A nostro avviso il PROCESSO SINODALE sarà (perché non lo è ancora!) determinante per un contestuale riconoscimento, valorizzazione e realizzazione dell’esperienza organizzativa della C.E.T.; per tale motivo sarà necessario che sia la medesima C.E.T, unitamente alle organizzazioni laicali e religiose più “aperte”, creare sempre più occasioni di informazione, ascolto e confronto nella Chiesa.

Il prossimo anno avrà luogo un rinnovamento dei coordinatori delle Terre e, almeno in parte, dei membri del Consiglio Pastorale Territoriale. Siamo stati dei buoni pionieri, ma molti degli attuali membri sono un po’ logorati dalla fatica di far nascere qualcosa di nuovo. Questo primo ricambio appare una sfida, soprattutto perché è sempre difficile raccogliere disponibilità a lavorare a qualcosa di nuovo, ma l’auspicio è che possa rivelarsi una grande risorsa.

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