
“Consideriamo papa Francesco un nostro parrocchiano”. Così mi aveva detto settimana scorsa padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza, durante la lunga chiacchierata telefonica avuta con lui (https://www.youtube.com/watch?v=SNM4IzHZbKU&t=1307s).
Dall’invasione israeliana della Striscia conseguente ai terribili fatti del 7 ottobre, era infatti consuetudine che papa Francesco, verso le 19 di ogni giorno, telefonasse per sapere le condizioni di vita della piccolissima comunità cristiana raccolta attorno alla parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza City. Una telefonata che non è venuta meno neanche durante i giorni dolorosi del ricovero al Policlinico Gemelli.
Padre Gabriel l’ho sentito qualche giorno fa e di nuovo mi ha ripetuto: “Le chiamavamo telefonate “benedette” che ci procuravano tanta gioia. Sapere che, anche in mezzo a tante prove, papa Francesco riusciva a ritagliarsi ogni giorno un tempo per avere nostre notizie era un grande motivo di speranza.
Quando telefonava, lo mettevamo in viva voce e lui riconosceva le voci e conosceva i nomi dei bambini. Lui parlava con loro, si chiamavano per nome e come tutti i bambini del mondo gli facevano domande, gli chiedevano consigli. Non si è mai tirato indietro. L’ultima volta è stato sabato sera, poco prima della veglia pasquale. Ha chiamato sul cellulare del mio vicario, padre Yousef perché io ero in chiesa a recitare il Rosario. Ha parlato con lui e con suor Maria.
Io l’ho ringraziato ma l’ho sentito stanco, molto stanco, e non volevo tenerlo troppo al telefono. Però il suo spirito era lo stesso e ci ha incoraggiato ancora una volta. Sai, papa Francesco ci ha fatto sentire “speciali” e la sua vicinanza, il suo sostegno, sono stati di grande aiuto. Siamo tristi? Si, certo però siamo sicuri di aver guadagnato un grande intercessore in cielo”.
Anche nel messaggio Urbi et Orbi del giorno di Pasqua non ha voluto dimenticare quella piccola Striscia di Terra con la più alta densità del mondo:
Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile! Dal Santo Sepolcro, Chiesa della Risurrezione, dove quest’anno la Pasqua è celebrata nello stesso giorno da cattolici e ortodossi, s’irradi la luce della pace su tutta la Terra Santa e sul mondo intero. Sono vicino alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese. Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo. In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria. Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace!
Quasi un testamento per un credente che profeticamente, più di dieci anni fa, aveva parlato della “terza guerra mondiale a pezzi” che si sta trasformando in un “vero e proprio conflitto globale”. La guerra, ha ripetuto instancabilmente, “non è la via per risolvere i conflitti perché semina morti tra i civili e distrugge città e infrastrutture. Oggi la guerra è in sé stessa un crimine contro l’umanità.
Non dimentichiamo questo: la guerra è in sé stessa un crimine contro l’umanità”.
Parole nette e ferme. Che hanno anche il profilo delle bambine e dei bambini di Gaza, al telefono con papa Francesco.