
A metà quattrocento, nell’ambiente colto e stimolante tra Padova e Venezia, Andrea Mantegna illustra in modo innovativo il tema evangelico della “Presentazione di Gesù al Tempio”.
La Presentazione si svolge al davanzale di una finestra con gli stipiti di marmo; le preziose venature concorrono in un unico punto di fuga dando luogo a un ambiente chiuso. Il fondo nero dà alle figure un rilevo plastico – quasi scultura, più che pittura – proiettandole nello spazio esterno che si apre agli astanti in intima prossimità; il gomito di Maria, il cuscino che regge il Figlio, la mano accogliente di Simeone, sporgono sul davanzale – dallo spazio virtuale verso il reale – dove si appoggia il Bambino, già costretto nel sudario della Passione.
Da subito considerato capolavoro, il dipinto impegna da sempre la critica nella ricerca dell’identità dei personaggi così intensamente ritratti nell’episodio evangelico. Se il personaggio al centro tra Maria – dolcemente concentrata, seria, inquieta – e Simeone – colto nell’espressione di chi accoglie un mistero – poteva essere identificato in un po’ troppo corrucciato San Giuseppe, restava da dare identità alla copia ai lati che con sguardi seri e pensosi si rivolge all’esterno verso una medesima direzione.
Le cronache antiche da subito riconoscono nel personaggio di destra l’autoritratto di Andrea Mantegna che, sposando nel 1453 Nicolosia Bellini – figlia di Jacopo e sorella di Giovanni – entra nel contesto familiare che darà arte alla grande pittura veneta.
Diventa quindi plausibile riconoscere in veste di Giuseppe il capostipite Jacopo e i recenti sposi nella copia che, dai lati, assiste e guarda, oltre il sacrificio, verso il futuro.
Quindici anni dopo, al tempo della morte di Jacopo Bellini, capostipite e caposcuola, il figlio Giovanni, artista già celebre, “letteralmente ricalca “il dipinto del cognato, Andrea Mantegna: identica impostazione del gruppo di figure al centro riprese tratto su tratto, stesso fondo; toglie gli stipiti di finestra lasciando solo il davanzale; ingrandisce il formato per affiancare alla copia laterale una nuova coppia con la donna che guarda compassionevole il Bambino e il giovane uomo che guarda chi guarda.
La duplicazione di un’invenzione tra due artisti massimi come Mantegna e Giovanni Bellini resta un enigma della storia dell’arte tra collaborazione, omaggio, imitazione, innovazione, replica, ripresa …
Certo è che un quadro di famiglia intorno alla “Presentazione di Gesù al Tempio”, ideato da Mantegna in occasione di un matrimonio, viene dupplicato da Giovanni Bellini all’accadere di un lutto: momenti cruciali di storia familiare intorno alle vicende di un’ Altra Famiglia che porta pace, salvezza e luce.
Un altro grande artista, qualche anno dopo, si ritrarrà in modo discreto mentre da dietro un pilastro sbircia la presentazione di Gesù al Tempio.
Forse un modo di partecipare – proprio con la forza dell’arte, oltre il tempo e lo spazio – all’inno di Simeone, “…uomo giusto e timorato di Dio…”:
”Ora lascia o Signore che il tuo servo
vada in pace… perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza
…luce per illuminare le genti…”.
(Lc 2 29-32)