Martedì scorso è stata inaugurata la nuova sede delle ACLI di Bergamo. Questo è il mio intervento.
C’è una primavera che si prepara in questo inverno. E’ la frase che abbiamo scelto di mettere all’ingresso della nostra nuova sede. Una scelta non casuale. Sono le parole di Giorgio La Pira. Docente universitario, nel 1945 fu il primo presidente delle ACLI fiorentine, incarico che lasciò per occuparsi a tempo pieno dei lavori nella Costituente dove, da cattolico democratico, insieme a Giuseppe Dossetti, portò un contributo importante. Sottosegretario al Lavoro nel governo De Gasperi e poi Sindaco di Firenze. Un visionario, accusato spesso di essere un illuso e un’idealista ma che seppe tracciare sentieri – spesso incompresi – sulle cui strade cammina ancora oggi la pace e il dialogo tra le fedi.
Da Sindaco riuscì a salvare dalla chiusura la Pignone, l’industria che faceva capo al colosso tessile della Snia Viscosa. Convinse l’allora presidente dell’ENI Enrico Mattei a rilevarla e bloccò così i duemila licenziamenti annunciati dando speranza e futuro ai lavoratori e alle lavoratrici. Si adoperò per favorire la ricostruzione della città, per dare un alloggio a tutti (utilizzando una legge del 1865, che permetteva la requisizione di alloggi in favore dei terremotati), per fare fronte al problema della disoccupazione.
I suoi principi ispiratori sono riassunti in una sua frase rimasta celebre:
l pane è sacro; la casa è sacra: non si tocca impunemente né l’uno né l’altra! Questo non è marxismo: è Vangelo.
Principi che ha tradotto in un impegno politico fatto di scelte di parte e di studio, di laicità e di coraggio.
Così – in questo giorno di inaugurazione della nostra nuova casa – ci piacerebbero fossero le ACLI di Bergamo e i suoi servizi. Credenti che laicamente e con competenza stanno dentro la città di tutti. Capaci di mostrare l’umanità del Vangelo. Perché – lo racconta la nostra storia – è sull’umano che ci si incontra tra diversi e ci si riconosce.
Orgogliosi delle radici dalle quali siamo nati e delle figure che sono state un riferimento importante: La Pira, Dossetti, don Milani. Ma anche capaci di scorgere i segni di speranza e di intravederli anche dentro questi tempi confusi. Di scorgere la primavera in questo inverno.
Orgogliosi delle figure che sono state un riferimento importante: La Pira, Dossetti, don Milani
Insomma, una memoria capace di futuro, altrimenti è solo archeologia. E’ la sfida che i nostri mondi associativi – in tempi di disintermediazione – devono saper affrontare e sono contento di farlo con tanti ragazzi e ragazze che stanno affollando con passione la nostra sede. Che ci dicono che servono le sedi ma servono ancora di più idee e progetti, passioni e principi per cui spendere il tempo e la vita.
Che occorre leggere le nuove domande che stanno le pieghe delle vite, soprattutto le più fragili, e essere capaci di offrire nuove e qualificate risposte. Che non dobbiamo rassegnarci alle ingiustizie e alle disuguaglianze. Che, da cristiani, non si può stare a metà. Perché come diceva uno slogan cileno: “non esiste il centro tra giustizia e ingiustizia”. Che bisogna custodire una vita interiore per non soccombere al confuso presente e imparare a resistere nella storia. Per non dimenticare la lezione di Mounier: “l’avvenimento sarà il tuo maestro interiore”. I fatti della quotidianità e le persone in carne ossa, perché “i pensatori si accorgeranno della fine del mondo un quarto d’ora dopo”.
Anni fa Giovanni Paolo II consegnò alle ACLI un lascito importante: l’aggiunta di una nuova fedeltà alle nostre tre fedeltà “storiche” (lavoro, democrazia, Vangelo). Lui la chiamò fedeltà al futuro e a chi verrà dopo di noi: un’attenzione che non basta enunciare, ma va tradotta in atti concreti, richiede azioni adeguate e sguardi profetici, segnati dal coraggio di guardarsi e lasciarsi guardare nel proprio agire, assumendo il peso della responsabilità di lasciare, con la propria presenza, un mondo migliore di quello che si è trovato.
Vogliamo fare la nostra parte. Senza rimpianti o nostalgie
La fedeltà al futuro allora richiede anzitutto di saper abitare responsabilmente la città del presente.
Vogliamo fare la nostra parte. Senza rimpianti o nostalgie. Con responsabilità per il tempo presente, con curiosità verso il tempo futuro. Su strade che ci porteranno dove oggi non sappiamo. E l’esito, nessuno ora può prevederlo. Come scrive Antonio Machado:
Viandante, sono le tue orme il sentiero e niente di più; viandante, non esiste il sentiero, il sentiero si fa camminando. Camminando si fa il sentiero e girando indietro lo sguardo si vede il sentiero che mai più si tornerà a calpestare.