“Sì, la Chiesa ha da secoli un problema con le donne, come in generale gli altri due monoteismi e forse la maggior parte delle religioni. Ma non vale come scusa; sarebbe stato così bello e legittimo se fosse stato diverso per il cristianesimo fin dalle origini! Tranne qualche felice eccezione recente, le donne sono assenti dal governo e dal commento della Parola di Dio durante la celebrazione domenicale, mentre altrove sono presenti ovunque. Sono la “carne” delle parrocchie, e spesso l’anima di quelle chiese domestiche che sono le famiglie, e sono sempre loro, il più delle volte, ad occuparsi del catechismo.”
Così si esprime in una bellissima intervista per l’Osservatore Romano mons. Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri. Una chiacchierata a tutto campo con una parresia e libertà di parole rare nel nostro mondo ecclesiale.
La Chiesa non può rifugiarsi in una logica di nicchia rispetto al mondo
“Nella nostra rappresentazione, la Chiesa è per definizione atemporale, una Chiesa patriarcale al di fuori delle correnti, delle mode e degli oltraggi del tempo. Tuttavia, in assenza di un maggiore coinvolgimento delle donne in ruoli di responsabilità e di visibilità, la nostra Chiesa paradossalmente corre il rischio di diventare una Chiesa obsoleta, non atemporale ma anacronistica e superata nella sua organizzazione. La Chiesa cattolica, ossia universale, se non è del mondo, è comunque inscritta nel mondo e non può rifugiarsi in una logica di nicchia auto referenziata rispetto al mondo. La questione delle responsabilità dei laici, e quindi anche delle donne, è stata ampiamente sollevata durante le consultazioni che hanno preceduto il sinodo: oggi il problema salta agli occhi.”
Quando gli viene chiesto come ha organizzato il governo della sua Diocesi, mons.Vasco risponde: “Nella nostra diocesi, oltre ai diversi consigli, ho voluto circondarmi di un team ristretto composto dai principali responsabili della curia diocesana: il vicario generale, il segretario generale, l’economo, l’economo aggiunto, il responsabile della diaconia e io stesso. Si dà il caso che questo team sia composto da quattro donne e due uomini. La maggior parte delle decisioni vengono prese insieme. Più in generale, vivo in un ambiente essenzialmente femminile, ed è una gioia quotidiana! Il che non significa che non ci siano attriti. Un giorno, una di loro mi ha fatto notare: «Alla fine, comunque, sei tu a decidere!». È vero, è un’osservazione vera.
Vivo in un ambiente essenzialmente femminile, ed è una gioia quotidiana!
Nella nostra Chiesa cattolica, le decisioni sono prese dal vescovo che le incarna. Il modello può indubbiamente evolversi. A tale riguardo, i modelli di governo nella vita religiosa possono essere ispiratori: molte decisioni vengono prese da capitoli o da consigli eletti e le limitazioni al potere decisionale dei superiori nulla tolgono al loro potere simbolico. Detto ciò, mi sembra che nella maggior parte dei casi, la fiducia che nasce dalla conoscenza reciproca e dal perseguimento di un progetto comune fa sì che la maggior parte delle decisioni siano prese con ampio consenso quando non all’unanimità. E in ogni caso, le opinioni di ognuno e di ognuna sono state ascoltate e hanno influito, in un modo o nell’altro, sulla decisione finale. Credo che sia un’esperienza forte per ognuno e ognuna, me compreso!”.
Eppure, gli viene detto, in diverse società, il funzionamento della Chiesa su queste tematiche si scontra con l’ideale democratico…. “Il principio di organizzazione gerarchica della Chiesa è d’ispirazione monarchica… fatto salvo per la successione ereditaria! È l’organizzazione umana che, quasi fin dalle origini, è garante dell’unità e lo ha più volte dimostrato. In ogni caso, noi siamo così. Ciò non esclude la presenza al suo interno di funzionamenti e di istanze più democratiche, come avviene nelle monarchie moderne.
I nostri fratelli e sorelle delle Chiese protestanti hanno nel sangue questa cultura democratica, ossia sinodale, e abbiamo senza dubbio molto da imparare da loro in questo grande movimento di sinodalità nello stile cattolico iniziato dal Santo Padre. La dinamica sinodale non si fermerà, si estenderà e si diffonderà a tutti i livelli della Chiesa senza tuttavia rimettere in discussione la sua struttura sacramentale. Ogni passo indietro apparirà subito totalmente anacronistico perché la Chiesa riguarda tutti i battezzati.
Sono profondamente convinto che la responsabilità nella Chiesa, di cui le questioni di potere sono uno snaturamento, aumenta man mano che la si condivide. Condividere la responsabilità significa aumentarla, e la nostra Chiesa soffre di un grande deficit di assunzione di responsabilità.”
Il diaconato alle donne. “Mi sembra impossibile privare i fedeli, e quindi anche me stesso, della ricezione femminile della Parola di Dio”
Anche di fronte alla questione discussa e complessa del diaconato femminile l’arcivescovo di Algeri non si sottrae: “A titolo personale, lo auspico vivamente! Mi sembra impossibile privare i fedeli, e quindi anche me stesso, della ricezione femminile della Parola di Dio. Nessuno degli argomenti addotti mi ha mai convinto. Quindi sì, mi piacerebbe che la questione del diaconato femminile avanzasse o che almeno si compisse un passo in più verso l’autorizzazione per le donne e, più in generale, per i laici formati, a commentare la Parola di Dio nell’ambito della celebrazione domenicale. A differenza del ministero presbiterale, il diaconato femminile ha radici nella tradizione della Chiesa e fatico a capire le obiezioni che possono essere sollevate, tranne che riservare il presbiterio, ossia l’esercizio del sacro, al maschile.
Su questa questione dei ministeri, come su quella del governo, l’orizzonte si svela e si allarga camminando. Ciò che sembrava impensabile ieri può così facilmente diventare un dato di fatto domani. Una presenza esclusivamente maschile nel presbiterio, le grandi processioni d’ingresso esclusivamente maschili, tutto ciò oggi ci appare naturale. Sarà sempre così o un giorno ci sembrerà troppo anacronistico?
Il solo fatto di porsi la domanda suscita già un cambiamento di prospettiva… Il problema non deriva forse dal fatto che spesso si considerano le vocazioni femminili non di per sé, ma rispetto alle vocazioni maschili? In effetti – risponde mons.Vasco – la vocazione femminile nella Chiesa è tradizionalmente pensata in termini di complementarietà. Ma questo non basta più, bisogna anche pensarla in termini di alterità. La vocazione femminile vale di per sé. Questa dimensione di alterità è attualmente molto presente nella vita coniugale.
I compiti sono condivisi, tutte e due i genitori possono lavorare, occuparsi dei figli… Ognuno li svolge nella sua diversità di sesso, di carattere… Sono gli stessi compiti svolti in modo diverso. Questo vale per tutti gli ambiti della società. Come si può pensare che non possa esserci un’eco di questa evoluzione sociale in seno alla Chiesa nel modo in cui vengono esercitati i carismi e i ministeri, nel rispetto della tradizione, che non è un corpo morto ma un corpo vivo, allo stesso tempo immobile e sempre in movimento.”
Insomma, uno sguardo coraggioso, capace di rileggere la feconda storia di ieri dentro le sfide dell’oggi. Con una convinzione: “Credo profondamente che la nostra Chiesa debba pensarsi di più come una comunità di fratelli e sorelle. È la testimonianza più alta che può offrire al mondo.
“E’ una questione di alterità e di fratellanza”
Più che una lotta di potere, il necessario riequilibrio tra chierici e laici, tra uomini e donne, è una questione di alterità e di fratellanza. Se mi piace essere chiamato fratello, piuttosto che padre o monsignore, non è per falsa modestia o vanità, ma è proprio per questa questione di alterità, che non deriva da una scelta, bensì da un dato di fatto: ho bisogno dei fratelli e delle sorelle della mia diocesi, come avevo bisogno dei miei fratelli domenicani per essere ciò che sono per loro.”