Lizzola/Nell’epoca dell’orfanezza

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nell’interpretazione del tempo che stiamo vivendo.
Cercandone la verità profonda, che vuol dire la chiamata che questo tempo ci rivolge.

E questo è interessante, perché non è scontato che noi siamo capaci di apprendere dal tempo che viviamo. Spesso il tempo ci dà già la sua interpretazione e noi fuggiamo dentro i percorsi già percorsi del nostro sentire, dal nostro pensare.

Francesco ha invece questa capacità di disvelamento che è importantissima. È un grande leader che, a differenza di tanti altri leader, è capace di rischiare una dissonanza con il sentire comune. Perché è più preoccupato di indicare, di riaprire alla consapevolezza, piuttosto che di essere riconfermato continuamente. Perché è un uomo di fede. È libero da preoccupazioni di cercare il consenso e la riconferma. Sente questa leadership come servizio con dentro quel pizzico di profezia che poi crea, e può creare, problemi a un leader, ma che cerca la strada.

La cosa importante a cui ci invita è proprio un cambiamento di atteggiamento interiore non soltanto di sguardo.

E mi è parso di cogliere, anche in questa occasione, un invito a uscire dall’orizzonte della cultura dei diritti dei soggetti per andare verso una cultura del riconoscimento della prossimità e dell’offerta. Per  ripartire dalla relazione, in questo caso dalla relazione tra le generazioni e tra le storie, spesso fragili e discontinue delle famiglie.

Pensare l’adozione partendo dal diritto di avere figli è un pensare molto riduttivo, anche pericoloso, rischioso; pensare l’adozione anche solo come diritto del bambino ad avere un contesto familiare è già un passo avanti molto importante.

Ma c’è un modo di pensare l’adozione più profondo, che è un riflettere sulla vita come offerta e accoglienza. E questa è una prospettiva diversa da quella della centratura sul diritto del soggetto. È provare a ricucire vita a legami intorno alle storie delle singole donne, dei singoli uomini, dei singoli bambini e delle singole bambine, a ripensare queste storie arricchendo la rete della relazione di vita attorno a loro.

Oltre i diritti, le relazioni

Anche il diritto del bambino viene dal riconoscimento e dalla ritessitura delle condizioni del suo fiorire pieno e della sua soggettività, e dal suo contributo, dentro il fiorire, alle relazioni sociali, agli adulti, al mondo.

Noi pensiamo sempre che il bambino sia in evoluzione e che questa evoluzione dipenda dagli adulti, sottovalutiamo una grande lezione, per esempio, di Janusz Korczak, questo grandissimo pedagogista del Novecento,  tra l’altro medico come formazione. Lui diceva: no, il bambino è una preziosità unica, ha un suo specifico contributo da dare alla vita, alle relazioni. È lui che dà agli adulti uno sguardo e un’esperienza del mondo, che le donne e gli uomini nelle loro storie vivono solo in infanzia.

Questa infanzia va valorizzata e riconosciuta, dentro una rete di relazioni. Questo è un cambio di prospettiva grandissimo: bisognerebbe cambiare addirittura il nome “adozione”, inventare un termine in cui ci siano: riconoscimento, offerta, rigermoglio della vita costruita insieme. Perché, a quel punto, è la vita che ha bisogno che la vita bambina si offra e sia occasione per la vita adulta.

E la vita adulta sia occasione, si offra, per la vita bambina. Ne hanno bisogno entrambe e dipendono l’una dall’altra nella loro possibilità di fioritura. Il contesto familiare è uno dei contesti nei quali questo può darsi, sempre un po’ si dà, a volte con più fatica, a volte in modo più ampio. Ma il contesto familiare stesso è soltanto la prima rete di questa relazione, di questa danza della vita. Ha bisogno subito di altre famiglie, e infatti l’affido familiare è un gioco di fraternità fra famiglie.

Ed è una cosa fantastica perché la vita adulta ha bisogno di rigenerarsi e riprendersi, e la vita bambina ha bisogno di offrire sé e anche di trovare una vita adulta che costruisca le condizioni di questa offerta. Queste vite hanno bisogno le une delle altre e si possono ritrovare in questo gioco di fraternità tra famiglie, in questo gioco di fraternità tra generazioni.

Parlerei di fraternità fra generazioni: qui siamo oltre la cultura dei diritti, pur trattenendo il meglio della cultura dei diritti. E siamo però anche oltre il diritto del bambino ad avere un contesto di vita attorno che gli permetta la fioritura e l’offerta. Non possiamo parlare di fioritura se ne facciamo un soggetto solo passivo, mentre lui è già un soggetto intero capace di un’offerta preziosa per il mondo. Il diritto del bambino richiama subito a un gioco tra le generazioni e ad un gioco sociale. Che non coincidono, perché il gioco fra le generazioni richiama la dimensione del distendersi del tempo, il gioco sociale richiama le direzioni delle interazioni del presente.

Padri e madri non si nasce

Sono i figli che fanno dei padri i padri e delle madri le madri. Il padre è padre grazie al figlio, ma l’adulto è fatto padre quando riconosce la sua possibilità e capacità di cura del futuro di altri e da altri, in un piccolo che cresce. A quel punto non serve nemmeno che ci sia la paternità biologica: la paternità non è un addentellato ulteriore dell’adulto, è uno sviluppo ulteriore di adultità nel riconoscimento della relazione con chi cresce.

Altrimenti l’adulto basta a se stesso: è adulto, si è compiuto. Cultura molto occidentale questa del soggetto autonomo e autosufficiente. No, l’adulto è una storia che si sviluppa e può trovare ulteriori dimensioni quando riconosce la sua paternità. E noi abbiamo padri che non riescono a riconoscerla, anche se sono padri biologici, e padri che riescono a riconoscerla e a viverla, anche se non hanno vissuto la paternità biologica.

Nell’epoca dell’”orfanezza”

Ci sono figli che cercano padri, ci sono figlie che cercano madri e le cercano, a volte trovandole a volte no, nei contesti familiari e nei contesti sociali comunitari. Molti li devono cercare dentro i contesti della guerra, dello smarrimento della migrazione, (l’emigrazione dei minori non accompagnati) e questo è drammatico, questo sta prendendo delle dimensioni molto grandi. È sempre stato presente ma oggi si presenta con una forza grandissima, da un lato il problema dell’orfanezza è il problema di un richiamo alle donne e agli uomini perché siano capaci di maternità e di paternità.

Dall’altro, nel tempo dell’interdipendenza dei destìni, tessuta così minutamente e profondamente dalla globalizzazione, dal problema ambientale e climatico della vita nella biosfera, questa condizione dell’oggi che è proprio specifica di questo nostro grande attraversamento – quindi la Laudato si’ e la Fratelli tutti –  si presenta con una forza grandissima, spesso drammatica.

Ma è qui ed ora  dentro questo contesto che si può rappresentare quella forza di richiamo che orienta il tempo a una possibilità di futuro, che può davvero dare forma a una nuova declinazione delle responsabilità, dell’orientamento dei gesti, dell’orientamento delle scelte politiche e delle forme dell’economia. È l’orfanezza che chiama l’adultità a essere paterna e materna, a permettere un disegno diverso della politica. Non solo ma anche un disegno diverso dell’economia e dell’utilizzo della scienza e della tecnica perché superino quelli che stanno diventando dei vincoli pesanti e pericolosissimi delle culture dei soggetti di diritto, del consumismo, dell’economia dei beni fruibili —come diceva Paul Ricoeur.

E di una politica delle istituzioni tutta difensiva e centrata sul presente, non capace di respiro tra le generazioni. In questo il legame con la Laudato si’ perché l’orfanezza è una delle forme più forti della questione della povertà e della vita. Faccio riferimento alla Laudato si’ perché la vita del Pianeta e la povertà si legano con forza.

L’orfanezza vede la condizione costitutiva di povertà dell’umano, che entra nella vita e che è subito questione di equilibrio della vita, del bios, e questione di cura del rischio che è la fragilità, la povertà: un bambino non ha i mezzi per sussistere per conto suo, dipende dalla cura, e quindi da subito è una povertà che richiama presenze.

Non solo il bambino povero, ma il bambino in quanto tale; a maggior ragione se è povero e sono tanti i bambini poveri. Quindi può essere davvero la chiave per portare ad atteggiamenti interiori e ad orientamenti di pensiero e culturali che vadano a incidere e a provocare — in modo anche un po’ rivoluzionario   — una necessità profonda di riconversione dell’economia e della politica.

 

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