Nelle crepe della vita: la traccia di don Adriano Peracchi

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Nelle crepe della vita: la traccia di don Adriano Peracchi

Custodire l’umano – rubrica a cura di Ivo Lizzola
E’ scomparso da poco don Adriano Peracchi. “Uomo di confine” è stato definito, per i suoi svariati impegni e per la sua personale sensibilità. Ivo Lizzola parte dalla personale conoscenza che aveva di don Adriano per tracciare le caratteristiche di uomini come don Adriano, cercatori di differenze, sensibili alle “crepe della vita”

Ci sono uomini,  e certo anche donne, che osservano con meraviglia e che curano con vero amore le singole differenze e le specificità di ogni vita che incontrano.  

Sono appassionati da una specie di antropologia delle differenze: cercano, colgono, proteggono, valorizzano quelle differenze che continuamente irrompono nella norma, rendendola instabile, evolutiva.

Cercatori di differenze

Sono cercatori di quelle differenze, di quelle particolarità, che spesso fioriscono nelle crepe, nei limiti, nei margini, nelle distorsioni delle storie, dei corpi, delle comunità familiari, delle relazioni sociali. Nelle quali si  vanno soffrendo e riaprendo forme di vita, ricerche, resistenze, adattamenti. Ed anche, appunto, fioriture nuove e improvvise; impastate di fragilità.

Sì, proprio la vulnerabilità, che spesso è il tratto manifesto della differenza, per questi uomini e per queste donne, va raccolta perché riporta all’origine. Perché richiama alla relazione che rende possibile di nuovo la vita e il suo narrarsi ancora, ancora prendendo forma. Quella relazione che viene rigenerata dalla vulnerabilità come possibilità e come obbligazione.

All’origine la relazione, all’origine vite vulnerabili offerte e affidate. In nuove origini: danze di forme e di narrazioni di convivenza sorprendenti. Parteciparvi è gioia.

Non provano a disporre o a controllare, non cercano di risanare o di salvare. Provano piuttosto presenze, compagnie, un sentire attento

Ci sono uomini che dedicano la loro vita all’amore di ognuno, unico, di ognuno e ognuna come inizio. Incontrando in molti il limite e la fatica, il declinare e il sottrarsi: lo accolgono e lo accettano. Non provano a disporre o a controllare, non cercano di risanare o di salvare. Provano piuttosto presenze, compagnie, un sentire attento, un profondo riconoscimento, un rispetto accorato.

Depongono uno sguardo che giudica o soltanto diagnostica, indeboliscono un pensiero della riparazione e del supporto, interrogano l’atteggiamento della sola rivendicazione di diritti (per le “minoranze”, le “minorità”, le “vittime”).

Cercatori che amano le narrazioni di percorsi di resistenza e resilienza

Ci sono uomini, e donne, che non sopportano la “mistica della fragilità”, che produce troppo spesso esclusioni e subalternità, volontariati soffocanti, meritori o un po’ sacrificali. Cercano ed amano le narrazioni dei percorsi di resistenza e di resilienza, i segni singolari, le pratiche piuttosto inattese di emancipazioni divergenti e creative, le relazioni sbilanciate eppure reciproche, le prossimità dove si apprende dello zoppicare il ritmo unico quasi danzando.

Cercano l’inizio continuo della vita nelle pieghe anche un poco oscure, certo sofferte, delle vite fragili

Questi uomini e queste donne di parole e di gesti, di iniziativa pubblica e di testimonianza personale, hanno cercato e cercano l’inizio continuo della vita nelle pieghe anche un poco oscure, certo sofferte, delle vite fragili. Lì indicano la preziosità di cercare l’inizio: nel suo resistere, nel suo trovare forme e sussulti particolari, nel suo chiamare vicinanze e riconoscenze di corpi, di gesti, di desideri. 

L’essenziale è nelle pieghe, nelle vite spiegazzate; o un po’ lacerate, rattoppate e anche ritorte. Dove si torna a cominciare un po’ per forza un po’ per desiderio: donne e uomini, ragazzi e adulti e vecchi devono tornare a nascere, provare di nuovo a desiderare, cercare una ragnatela di racconto.

Scriveva Paul Ricoeur che “la vita è più della spontaneità, della motivazione e del potere, è una certa necessità d’esistere”; lo stesso entrare nell’umano ha un carattere flottant, incerto, titubante, sospeso e fluttuante.  Rivela una passività irriducibile dell’essere in vita.

Una passività che è anche affidamento

Questa passività è come una recettività, ma è anche come un affidamento, un’offerta alla e nella cura. Trovarsi in vita, appunto: grazie, con e tra altri. Ci sono uomini e donne che si ritrovano lì, quando la vita è flottant, quando sussulta e prova ad essere una risorgiva. E non temono di vedere riflessa la loro piccolezza e la loro pochezza, le loro paure e loro impotenze. Le incontrano e incontrano il mistero dell’altro che viene loro incontro. 

Uomini  e donne attenti alle crepe della vita: lì nidifica la colomba del Cantico

È un poco il sentiero che scelgono per farsi incontrare dalla verità, per farne esperienza. Per venire sorpresi e incontrare la realtà nell’aperto. E per incontrare ogni altro e ogni altra come dono unico, differente e specifico: dono che viene a me.

Ci sono uomini, e certo donne, che questo hanno scoperto, che questo ci indicano e ci consegnano. Uomini  e donne attenti alle crepe della vita: lì nidifica la colomba del Cantico. 

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1 Comment

  1. Maurizio Noris ha detto:

    Grazie Ivo per questo tuo intenso e forte acquerello di amicizia e riconoscimento.
    Maurizio Noris

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