L’Abbé Pierre. Una vita per i poveri

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L’Abbé Pierre. Una vita per i poveri

“Da laico nella città” rubrica a cura di Daniele Rocchetti

Sono ormai passati quindici anni dalla morte dell’Abbè Pierre, uno dei grandi testimoni della fede nel Novecento. Ricordo la volta che salii ad Alfortville, un’anonima cittadina alla periferia di Parigi, per incontrarlo. Avrebbe compiuto di li a poco i novantun anni. Nella piccola camera da letto, invasa da libri e da fotografie di vecchi “compagnons”, per due ore mi parlò dei due grandi amori della sua vita: i poveri e Cristo

“E’ insopportabile essere felici senza gli altri”

Per la mia generazione, l’Abbè Pierre è stata la coscienza credente vigile di fronte all’ingiustizia del mondo, il fondatore di Emmaus e delle “raccolte carta stracci ferro” che tanto hanno segnato la coscienza e l’impegno dei giovani di mezz’Europa.

Durante la nostra conversazione, gli chiesi quale fosse stato il  regalo più bello ricevuto dai poveri. Mi rispose che non bisogna correre il rischio di idealizzarli. Anche loro sono esseri umani, con i difetti che l’umanità porta con sé. “Posso solo raccontare – mi disse –  che all’interno di Emmaus abbiamo incontrato poveri che sono stati capaci di mobilitare energia e passione per persone ancora più povere. Che non si sono tirati indietro di fronte al dolore degli altri, che sono stati capaci di vivere la condivisione senza farsi prendere dalle logiche del profitto e del guadagno. Sono loro che mi hanno mostrato che è insopportabile essere felici senza gli altri ed è insopportabile che gli altri soffrano se si ha qualche mezzo e non lo si mette al loro servizio.” 

“Lo Spirito Santo ci ha mandato Giovanni XXIII”

Gli chiesi cosa pensava della Chiesa e della necessità di una vera riforma. Mi parlò di quella volta che pranzò con  mons. Helder Camara, un amico carissimo e uno straordinario vescovo brasilicano. “Pranzavamo insieme – mi disse –  con il patriarca dei Maroniti del Libano e, nel bel mezzo del pranzo, Camara mi disse: “Padre, bisogna che mi confessi. Quando ci fu la seconda guerra mondiale, c’era un piccolo corpo di spedizione brasiliano associato agli alleati. Io seguivo gli avvenimenti come patriota brasiliano e quando vidi che erano sbarcati in Sicilia e stavano risalendo la penisola italiana, seguivo con impazienza l’arrivo a Roma.

Lo Spirito Santo sapeva bene che non bastava rivoltare le pietre che imprigionano la Chiesa. Si trattava di un altro bombardamento

Nei momenti di preghiera arrivai a dire a dire allo Spirito Santo: “Mio Dio, finalmente! Ora non manca proprio l’occasione!”. Lo Spirito Santo. meno stupido di me, fece in modo che i bombardamenti sulla Città Eterna non toccassero i palazzi Vaticani. Lo Spirito Santo sapeva bene che non bastava rivoltare le pietre che imprigionano la Chiesa. Si trattava di un altro bombardamento… E non a caso – terminò sorridendo mons. Camara –  lo Spirito Santo alcuni anni dopo ci ha mandato Giovanni XXIII…” Ci inviò Giovanni XXXII perché le cose cambiassero nel cuore, nel pensiero affinché la chiesa imparasse a liberarsi o ad essere sempre più libera dai segni che pure le restano. Ma come liberarsene? Non è semplice. Servono dei mezzi per sostenere le azioni… Speriamo solo che il mezzo sia legittimo…”

“Non ho affatto paura della morte”

Prima di lasciarci, gli domandai se aveva paura della morte. Mi rispose subito, con decisione: “No, affatto! Mi sono trovato più volte vicino. Ho ben presente il momento in cui, durante il naufragio sul Rio de la Plata, ebbi la chiara sensazione della fine. Mi abbandonai con una serenità straordinaria, l’anima ripiena di una sola certezza: quando abbiamo messo la nostra mano in quella dei poveri, sicuramente troviamo la mano di Dio nell’altra. Sono sicuro che ogni persona è amata, sostenuta, accompagnata per mano da Dio che è Amore.

Dio vuole solo il vero bene di tutti e di ciascuno, ma questo bene dipende da noi

Occorre essere convinti che Egli vuole solo il vero bene di tutti e di ciascuno, ma questo bene dipende da noi. Capisco benissimo coloro che soffrono, che sono feriti nel più profondo della loro carne e fanno fatica a credere in questo Amore infinito. Non sono loro i responsabili ma noi, i privilegiati, noi che abbiamo una casa, un lavoro, la salute, i soldi. Siamo noi i veri colpevoli di impedire agli altri di credere all’Amore. Dopo il naufragio, un giornalista mi chiese: “quando è stato vicino alla morte, qual è stata la sua reazione?”. Senza aver preparato niente risposi: “E’ l’incontro da lungo tempo rimandato con un amico”. E la morte è così. Senza dubbio, il Signore sgriderà ciascuno. Ma essere sgridato da un amico non è come essere ripreso da un vigile.”

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