
Dopo il Covid la scommessa dell’educare appare ancora più difficile. Tra le generazioni si è aperta una frontiera educativa più esigente sulla quale è in gioco non solo l’elaborazione di un sapere ma la maturazione di un sapere vivere. Su questa frontiera si incontrano piccoli, giovani e adulti. Tutti sono tesi ad apprendere a pensare e a sentire; a sentire e posizionarsi con responsabilità; a pensare insieme.
Il confronto con il limite, anche quello con la vita e la morte, la delicata centralità della cura, l’attraversamento delle domande affilate sui domini dei poteri delle tecnoscienze… Tutto questo ridisegna e rilanci la questione della verità:
tra pensiero e vita, tra incontro e dignità, tra gesto e visione. Verità da cogliere e da fare, verità e sincerità.
Continueranno a manifestarsi profonde crepe negli intrecci intergenerazionali che si tessono tra giovanissimi, giovani adulti e donne e uomini adulti. Sofferenza psichica, disorientamento interiore, incapacità a vivere emozioni, paure dei legami, angosce di perdita rendono i gesti e le parole di ogni giorno molto delicati.
Le donne e gli uomini, certo in famiglia, ma anche nella scuola, nelle comunità, nei luoghi a contatto con i più giovani ed i piccoli, hanno saputo e sapranno – con tutta la loro fragilità e loro sofferenza – essere delle autorità amanti?
Non è facile lasciarsi formare, e non solo lasciarsi prendere, da ciò che mette alla prova, da ciò che ignoriamo, da ciò che scompagina e rende incerto il nostro conoscere, fino al nostro credere.
Provare ad avviarci verso ciò che conosciamo, ci chiede sempre di avviarci verso ciò che non conosciamo.
Un tempo d’esodo è il nostro, nel quale sono da cercare e “provare”, anticipandoli, un orizzonte e una promessa. E’ una promessa buona che sorge tra uomini e donne, tra generazioni, tra culture e popoli.
Tra generazioni, anzitutto. Tempo da riconquistare come un cammino fuori dai miti e dalle funzionalità, dagli “equilibri” e dai rapporti di ieri. Che erano, per altro, già svelati nella loro fragilità, nella loro pericolosità per la sostenibilità e il futuro delle generazioni giovani e a venire, nella loro ingiustizia.
Nella pandemia l’esperienza della conoscenza si deve ridisegnare. E questo non solo perché il conoscere come presa di controllo conoscitivo e tecnico sul mondo è passato nel fuoco della crisi risultandone demitizzato, riemergendo come confronto con il limite e come posizionamento in responsabilità.
Conoscere è riemerso come domanda, accoglienza, e coltivazione del senso, dell’attenzione, del mistero. Conoscere è umiltà di un pensiero che osa cercare e lo fa senza presunzione e rigidità. Conoscere (nella fatica, nel riguardo cui la distanza conduce, nella prova) soprattutto è (ri)diventato co-naissance, esperienza di co-nascita, tra adulti e minori, tra loro e la realtà, tra loro e il mondo.
Per ritrovare la scuola nei mesi segnati dalle ondate della pandemia ci si è dovuti cercare. Gli insegnanti, i dirigenti han dovuto cercare allievi e allieve, contattare famiglie, far giungere strumenti ed informazioni. Anche ora si dovranno cercare forme, proposte e organizzazioni inedite. Cercare nuove didattiche, e cercare nuova forza e rinnovate motivazioni.
Gli allievi e le allieve, le studentesse e gli studenti han dovuto e dovranno cercare la scuola, i loro compagni, gli insegnanti… E farsi trovare: bisogna un po’ volerlo e un po’ cercare il senso e la forza per farlo. Non è semplice nella prova, nell’incertezza, messi allo scoperto dai timori e dal senso di vuoto. A volte non ci si è trovati. Perché qualcuno si è sottratto. Si è compreso che oltre il covid la scommessa dell’educare era sempre più difficile.
Così la scuola si riscopre nella possibilità di essere un luogo di incontro e di rielaborazione dei vissuti, importante soprattutto se questi sono stati destabilizzati.
La scuola, scrive Fulvio De Giorgi, si costruisce attorno a “diritti pedagogici”: quello all’attivazione, all’osservazione, alla partecipazione. Non solo ma anche quello alla maturazione, alla rimotivazione, alla valorizzazione delle potenzialità ed al sostegno interattivo nelle difficoltà. E ancora: quello alla capacità cooperativa, al senso critico, all’esperienza di dialogo e di ricerca, quello all’esercizio di responsabilità, di servizio, di progettazione. Occorrerà ri-praticare tutto questo nei luoghi diversi d’una scuola più diffusa nella comunità e nei suoi tempi, diversamente articolata in percorsi d’esperienza, di comunità di ricerca collegati al mondo.
Una scuola per bambini, preadolescenti e adolescenti che si fanno protagonisti e quindi responsabili del loro tempo, del cammino della loro comunità. In una scuola che fa dell’apprendimento-servizio una cultura diffusa, non solo una strategia didattica.
È importante ritrovarsi arginando solitudini e abbandoni; tenere, grazie alla scuola, ragazze e ragazzi in contatto tra loro.
Portarli a star bene con la letteratura, la matematica, l’arte, facendoli uscire e andare oltre ripiegamenti e timori, rendendoli protagonisti del capire e del cercare, dello scoprire e dello scegliere. Scoprendo parti di sé per “rimbalzo culturale” come indica Franco Lorenzoni, e per un lavoro in una comunità di apprendimento.
Un luogo, la scuola, che sia di “resistenza” umana, di incontro e dialogo dialogale, ed anche di desiderio: desiderare come immaginare insieme, creare, pensare insieme e dedicarsi a ciò che vale.
Oggi bambine e ragazze, bambini e ragazzi hanno un grande bisogno di confrontarsi con grandi temi, profondi e difficili, di sostare nelle domande e di approfondire. Non solo di recuperare contenuti e programmi ma di fare anche meno per andare in profondità con la riflessione e il confronto. Occorre pensare bene e trovare gli oggetti culturali per questo tempo, scandagliare memorie e patrimoni, da scambiarsi, da indagare. Ancora e sempre: oltre il covid la difficile scommessa dell’educare
Tutti siamo educati dalla vulnerabilità, da un sapere amante e responsabile, da interazioni aperte e generative.