Noi, ciechi e il mistero che ci abita

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Noi, ciechi e il mistero che ci abita


Spunti di riflessione sul vangelo di domenica 19 ottobre,  ventinovesima del Tempo Ordinario “B”. 
Il Vangelo è Marco 10, 46-52
Per leggere i testi liturgici clicca qui

Siamo a Gerico, Gesù passa. Un cieco, Bartimeo, lo chiama gridando. Non chiede cosa da poco: vuole riacquistare la vista. E Gesù lo esaudisce. Il breve racconto si conclude con Bartimeo che segue Gesù lungo la strada

L’esuberanza di Bartimeo

Il grande cambiamento del cieco impressiona: seduto, imbacuccato nel suo mantello, marginale (sedeva lungo la strada), prima; balza in piedi, butta via il mantello, segue Gesù (lo seguiva lungo la strada), dopo. Davvero, nella vita del cieco, tutto cambia. Ma tutto cambia perché incontra quel passante, il “Figlio di Davide”, segno di uno straordinario intervento di Dio, come annuncia anche, nella liturgia di oggi, la prima lettura del profeta Geremia. 

Bartimeo è, a dir poco, esuberante. Come è diverso il suo modo di avvicinarsi a Gesù rispetto a quello di altri personaggi evangelici. Vedi, ad esempio, l’emorroissa, la donna che soffre di perdite di sangue. Questa si trova in situazione di disagio simile a quella di Bartimeo – malattia lunga, dispendio economico, situazione estrema…-.  La donna ha vergogna e sa che la sua malattia la rende impura e rende impuro chi la tocca. Quindi si limita a sfiorare, da dietro, solo il lembo del mantello di Gesù. Bartimeo, invece, grida e grida ancora più forte fino a “costringere” Gesù a fermarsi. 

Il vangelo è pieno di figure diversamente sofferenti, povere, marginali che vengono toccate da lui, reintrodotte nella comunità dalla quale erano state espulse.

Si arriva a Gesù sempre in modi diversi. La meraviglia di una fede rispettosa della nostra libertà che ci porta a pregare ognuno “a modo nostro”, e in modi molto diversi a seconda delle diverse situazioni della nostra vita. Non si prega allo stesso modo quando nasce un bambino o quando si è disperati per la perdita di una persona cara. 

Per capire l’uomo bisogna andare oltre l’uomo

Ma, per rifarci ai simbolismi che ci suggerisce Bartimeo, sia quando siamo nella gioia, sia quando siamo nel pianto, siamo in qualche modo sempre ciechi. Che cosa sappiamo del mistero di un cucciolo d’uomo che viene al mondo? Quel batuffolo è figlio di Dio… E che cosa sappiamo della morte? Possiamo descrivere scientificamente tutti i fenomeni che si accompagnano alla morte, ma alla fine la domanda nasce imperiosa: ma allora che cosa devo dire di fronte al fatto che quell’amico, quel parente non c’è più? E lo stesso si potrebbe dire dell’esperienza dell’amore… 

Per capire l’uomo bisogna andare oltre l’uomo. Non riusciamo a rispondere a tutte queste domande. Siamo grandi, siamo depositari di un mistero che ci supera, immensamente. Come faccio a spiegarti con quattro parole la grandezza di cui siamo depositari? Per cui ho deciso, nella mia vita, di fare come il cieco di Gerico. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù… lo seguiva lungo la strada. Adesso il cieco ci vede. E che cosa vede? Vede il volto di un Dio che gli ha voluto così bene da farsi uomo, di lasciarsi incontrare, di ridargli perfino la vista. 

Ecco: noi siamo dei ciechi che non vedono nulla del mistero che li abita, ma hanno incontrato un Dio che ha preso il loro volto, che si lascia guardare, toccare, invocare: figlio di Davide, abbi pietà di me. Poi, dopo averlo incontrato, stanno con lui.

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