La metamorfosi necessaria dell’apostolo Paolo. La Chiesa aperta e missionaria

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La metamorfosi necessaria dell’apostolo Paolo. La Chiesa aperta e missionaria

Il cuore di tutto il messaggio di Paolo: Cristo morto e risorto.
La grazia che contesto ogni tipo di potere.
No a una Chiesa chiusa su se stessa

Da sempre innamorata di Paolo di Tarso, per il suo assoluto cristocentrismo, ho letto con vivo interesse il recente libro “Metamorfosi necessaria. Rileggere San Paolo” di José Tolentino Mendonça per le Ed. Vita e Pensiero.

Al centro di tutto Cristo, crocifisso e risorto

L’autore  coglie la grandezza di Paolo che, ancor prima degli scritti dei Sinottici, degli Atti e delle altre Lettere, ha saputo individuare  il nucleo essenziale del mistero di Cristo, e quindi  l’ha sistematizzato in un discorso teologico, in dialogo con la cultura del tempo, tanto quella greca, che quella giudaica.

Dopo essere stato “sequestrato” da Cristo sulla via di Damasco, Paolo, rovescia la sua vita e la sua visione del mondo, provocando una netta cesura rispetto ai paradigmi etici e alle idee religiose del tempo, utilizzando linguaggi nuovi, inusuali, mistici, e insieme concretissimi per dire la novità dell’Unico, Gesù Cristo crocifisso e risorto: Lui il centro, l’inizio e il motore di tutto.

Sulla Croce si produce una radicale inversione di valori. Niente è più come prima. “Quello che poteva essere per me un guadagno l’ho considerato come una spazzatura” (Fil 3, 8).

Tutto il resto diventa relativo:“Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero;  non c’è più maschio e femmina, perché  tutti voi siete uno in Cristo” (Gal 3, 28). Ogni realtà è come assorbita da Cristo. Le differenze, di sesso, di razza, di religione… non sono eliminate, ma perdono di rilevanza per stabilire il valore della vita.

La “grazia” che destabilizza ogni potere

Paolo arriva a scardinare i princìpi della comunità etnica giudaica in cui era nato e cresciuto, ma rifiuta anche il modello dell’impero romano, in nome della teologia della grazia che destabilizza ogni tipo di potere che pretenda di assurgere all’Assoluto.

“Non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia” (Rom 6, 14).

I Cesari di tutti i tempi si devono rassegnare a un ruolo subalterno.

Ma chi era Paolo?

Il cardinale Tolentino Mendonça, in tutta la prima parte del testo, ci offre un ritratto rigoroso, ampio, efficace, di “questo ebreo romano, catturato da Cristo, questo infaticabile pellegrino costruttore di comunità”, questo cercatore dell’essenziale cristico, inserito pienamente nel suo ambiente giudeo greco romano, e reso capace, a causa di una fede totalizzante, di una continua trasformazione, di una missionarietà dinamica, dentro il tessuto sociale politico che incontra.

Esce da una struttura religiosa “gruppuscolare”, elitaria fino a diventare asfittica, e si fa cosmopolita nel pensiero e nel linguaggio, traducendo nella civiltà romano-ellenistica il messaggio cristiano, bypassando quegli ostacoli, la legge e la circoncisione, oggetto dell’integralismo del sistema religioso ebraico, ma che risultavano trappole letali per  la salvezza dei pagani.

È questo il risultato epocale riscosso da Paolo a Gerusalemme  nell’incontro con le “colonne della chiesa”, Pietro, Giacomo, e gli anziani.

Di Paolo possediamo varie Lettere (delle 14 attribuite a Paolo, solo 7 sono chiaramente sue).

Sono i primi scritti cristiani, quelli che costituiscono il germe del canone del Nuovo Testamento.

In circa un decennio e mezzo di intensa attività epistolare, la sua teologia si approfondisce, i destinatari cambiano e così le situazioni che l’Apostolo delle genti deve affrontare.

È un mondo polifonico, che richiede una perenne metamorfosi, un processo sempre aperto, mai definitivamente concluso, e quindi necessita di una duttilità di atteggiamenti, di approcci, ma dove comunque rimane un centro immutabile, la morte in croce di Gesù e la sua risurrezione.

“Se Cristo non è risorto vana è la nostra predicazione, vuota la vostra fede” (I Cor15,14).

Un centro fisso in un pensiero mobile.

La follia della croce e la Pasqua. No a una Chiesa chiusa

La follia della croce e la resurrezione  diventano il principio e il fine della metamorfosi necessaria del nostro essere cristiani, qui e ora, che purificano il modo di essere credenti e donano la capacità di incidere profeticamente  dentro la storia.

Paolo ci obbliga a prendere le distanze dal naturaliter christianus di cui parlava Tertulliano nel II secolo, perché non nasciamo cristiani, ma siamo chiamati a diventarlo, e ci insegna a liberarci da un conformismo religioso, dall’ovvietà di un certo sistema etico del tipo “state buoni se potete”, o da  un cristianesimo come dato acquisito buono per tutte le stagioni che non fa male a nessuno.

Ci stimola invece a una presa di coscienza critica e radicale della  fede in una esperienza di rinnovamento continuo.

“Se uno è in Cristo è una creatura nuova.

Le cose vecchie sono cambiate.

Ecco ne sono nate di nuove” (2Cor5,17).

L’inserimento in Cristo fa essere nuova realtà.

Sta alla chiesa visibilizzare di tempo in tempo, di luogo in luogo, la novità che è Cristo,  reinventado il modo di pensare, di vivere, di agire, in una  continua  gestazione mai compiuta, sempre in stato di ripartenza.

No a una Chiesa chiusa in se stessa, nelle proprie convinzioni che sono convenzioni, quello che papa Francesco denuncia come patologia della chiesa: la tentazione dell’autoreferenzialità, dell’autoconservazione.

Sì a una Chiesa che, “riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, viene trasformata in quella medesima immagine di gloria in gloria secondo l’azione dello Spirito” (2Cor 3, 18).

Ada

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