
Intorno ai trent’anni Tintoretto dipinge un quadro con La lavanda dei piedi per il presbiterio della Chiesa di San Marcuola a Venezia (sulla parete di fronte ad esso un’altra sua opera raffigura invece L’ultima cena).
La costruzione scenica dello spazio è particolarmente articolata, originale, complessa.
Pensato per essere osservato in prossimità del lato destro, con la figura di Cristo che lava i piedi a Pietro, il dipinto sviluppa ampiamente in profondità questa sua visione laterale, con contrasti di zone di luce e di ombra che si alternano sapientemente.
L’effetto di dilatazione spaziale è accentuato dai personaggi variamente collocati a grandezza decrescente lungo la diagonale prospettica: la linea immaginaria attraversa il quadro fino a trovare il punto di fuga nell’arco dell’architettura in fondo, al termine dello specchio d’acqua sul quale si affaccia la sala.
Oltre all’attenta distribuzione delle figure, sono molti gli elementi che definiscono e sottolineano questa direzione prospettica: il disegno geometrico del pavimento, la posizione della tavola per la cena, i palazzi e i colonnati dell’esterno.
Gli apostoli sono caratterizzati in modo realistico e vigoroso nei loro atteggiamenti e posture: quasi tutti isolati, assorti, in attesa. Solo uno di loro sta aiutando il compagno, che è seduto un po’ goffamente a terra, a togliersi i panni per lavare i piedi. Altri due discepoli eseguono da soli la stessa operazione; la grande figura sulla sinistra (che bilancia simmetricamente i personaggi dalla parte opposta) si slaccia i calzari con una torsione che ricorda immagini michelangiolesche.
Accovacciato sul pavimento, nel margine centrale inferiore del dipinto, un cane mite e tranquillo riempie lo spazio vuoto tra i personaggi che stanno sui due lati.
In alto a destra e in penombra c’è una sala rialzata dove si sta svolgendo la cena: è il secondo decisivo momento di questa sera particolare, unica e drammatica.
Il dipinto è una composizione mirabile fatta di moltissimi elementi disposti e raccolti in armonia.
Colpisce particolarmente l’esterno luminosissimo: architetture di portici, prospettive di colonne e palazzi bianchi di una Venezia immaginata, acque trasparenti solcate da imbarcazioni, cieli tranquilli e limpidi… quasi che il lavacro di Cristo abbia ripulito e purificato il mondo intero dal male e voglia mostrare ora all’uomo la luce che lo aspetta.
È il momento più difficile per la parola, perché il mistero di questo momento pretende di raccoglierci tutti nel centro del mondo, della storia, dove Dio fa testamento, in questa stanza, con questi gesti. Così racconta il Vangelo.
Gesù dona con il suo corpo tutta la sua vita, e nell’ultimo gesto prima di morire s’inginocchia e lava i piedi degli amici. Egli vuole che attraverso l’amore sia puro il cammino dell’uomo: quel viaggio cominciato e uscito dall’Egitto, dalla terra lontana in cui non eravamo vivi, attraverso il mare miracoloso dell’esistenza, attraverso molte prove. Gesù ci nutre con la sua compagnia, vuole darci un cuore come il suo, un corpo come il suo, capace di amare, di credere, di fidarsi.
È la carità la vocazione del corpo e della vita che sono nutriti da Dio, è la tenerezza tra gli uomini. La sola cosa che resterà