I pastori a Betlemme

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Costruiamo il presepio. Oggi
Il Vangelo di Luca mette in scena anche i pastori.
Gli straccioni marginali diventano protagonisti.
Non solo a Natale e non solo loro

Pastori, “mestiere da ladro”

Al tempo di Gesù i rabbini si chiedevano sconcertati come mai nel Salmo 23 il Signore fosse chiamato il “mio pastore”. Era infatti opinione comune che “nessuna condizione al mondo è disprezzata come quella del pastore” (Midrash). Ed era consigliato di non insegnare ai figli “il mestiere del pastore perché è un mestiere da ladro”. I pastori erano per lo più servi dei proprietari del gregge, sfruttati e malpagati, e si rifacevano con il furto al padrone o altri pastori. Vivendo per gran parte dell’anno isolati, senza altra compagnia degli animali e senza alcuna sorveglianza, i pastori avevano una cattiva fama, erano considerati dei selvaggi, dei bruti che vivevano di ruberie. Come gli esattori del dazio (pubblicani, come Matteo), i pastori erano trattati con il massimo disprezzo; privati dei diritti civili, non potevano testimoniare ed erano considerati peggio delle bestie che accudivano. Se infatti si poteva tirare fuori un animale caduto in una fossa (Mt 12,11), un pastore no: “non si tirano fuori da un fosso, né i pagani né i pastori”.

Emarginati dalla società, i pastori erano discriminati anche dalla religione ebraica. Trascorrendo il loro tempo sempre tra gli animali, con scarse possibilità di accedere alla sinagoga o al Tempio, i pastori vivevano in una condizione di totale impurità e si pensava che per essi non ci fosse alcuna possibilità di salvezza. Inoltre, secondo la Legge, in caso di frode occorreva restituire il maltolto con l’aggiunta di un quinto (Lv 5,21-24). L’impossibilità per i pastori, notoriamente ladri, di restituire quel che avevano rubato rendeva loro impossibile ottenere il perdono dei peccati.

Eppure, a Natale, gli angeli cantano per loro

Eppure, racconta il vangelo di Luca, è a loro che viene dato il primo annuncio della nascita di Gesù:

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 1ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2, 8-12)

Sin dall’inizio la vicenda di Gesù sconcerta i benpensanti, ribalta la concezione comune di centro e di periferia, frantuma l’idea di Dio mago e talismano onnipotente.

Il segno: un cucciolo d’uomo

Traspare in modo netto la logica di Dio, così apparentemente illogica per noi, custodi del buon senso.  “Per voi è nato il Salvatore”, annuncia l’angelo ai pastori. Fin dalla sua nascita Gesù si è venuto a trovare fra gli ultimi della società. Sono loro, non i “giusti”, che si attendono da Dio una parola di amore, di liberazione e di speranza. E che si fanno sorprendere dal suo modo di proporsi nella storia.

Il segno dato ai pastori è sconcertante. Ai pastori non viene detto che troveranno un bambino avvolto di luce, con il volto d’angelo, un’aureola sul capo, circondato da schiere celesti. No, il segno è  quello di un bambino del tutto normale, un cucciolo d’uomo, simile a tutti gli altri.

La sua nascita rende evidente un Dio che sceglie la povertà e la debolezza, quasi un monito a quanti come noi sono tentati troppo spesso di credere nella logica della forza e del potere.

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Varinelli

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