Meditazione stralunata sulla morte

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Qui si parla di morte, appunto. Argomento del tutto fuori luogo.
Di solito non interessa, infatti, ed è naturale che non interessi.
Ma forse interessa poco perché ci disturba molto

Eppur si muoRe

E’ morto don Bruno Caccia. Prete, amico, conosciuto e non solo da me. “Brillante”, “acuto”, “ironico”, “intelligente” sono gli articoli che sono stati usati per ricordarlo. Aveva un tumore. Era di due anni più vecchio di me. Non è una gran differenza. 

Eppur si muore.

Voce del verbo “morire”, diverso dall’”eppur si muove”, il celebre “detto” attribuito a Galileo Galilei, voce del verbo muoversi. Ma Galilei parlava di sole e di terra e dei movimenti della terra attorno al sole. Anch’io parlo di movimenti, ma, molto più modestamente, parlo del movimento di chi ci abita sulla terra, e soprattutto del vorticoso movimento verso la fine. 

Eppur si muove, ha detto Galileo. Eppur si muoRe, dico io. Strane coincidenze

Da notare che c’è, in ogni caso, uno stretto legame fra quello che dice Galilei e quello che dico io (per la verità non sono proprio l’unico a dirlo). Che tutte e due le affermazioni sono assolutamente vere. Anzi, la mia, la nostra, è più vera di quella di Galilei. Perché la mia ha dalla sua parte almeno otto miliardi di prove. Sono gli abitanti di questa terra che devono prendere atto, tutti, della verità incontrovertibile. Questa: eppur si muoRe. 

E mi vengono in mente le affermazioni, ficcanti, geniali, tremende di quel folle che è Louis-Ferdinand Céline (c’è un articolo su di lui, proprio oggi, sul “Corriere”). Una, tra le tante: “Ah! Divertirsi con la propria morte mentre uno sta fabbricandosela, ecco tutto l’Uomo, Ferdinand!” (“Morte a credito”, pag. 10).

Di un prete si citano le chiese costruite, non la consolazione donata

Sono appena tornato dai funerali di don Bruno. Eravamo molti i preti celebranti. Il duomo era pieno: don Bruno è stato, con il suo carattere ironico, estroverso… (vedi sopra) un gran coltivatore di legami.

Mentre guardavo a tutto il trambusto liturgico, mi sono distratto. E ho pensato più a me che a don Bruno. Ho cercato di immaginarmi, diciamo così, nei panni di don Bruno. Ci saranno certamente molti preti. E si faranno discorsi. Se ne fanno sempre, in queste occasioni. Sono i discorsi in cui si dice tutto il bene possibile del “caro estinto”.

Muore un amico prete. Mi metto “nei suoi panni”. Esercizio stravagante ma non inutile

E’ noto. Per sapere il male che si dice di noi bisogna vivere. Per sapere il bene che si dice di noi, bisogna morire. Quel giorno, quindi, verrò beatificato. Si dirà del “gran bene” che ho fatto a Grumello, di quello che ho fatto a santa Lucia. Qualche strano coltivatore di memorie si ricorderà perfino di quello che ho fatto nei diciannove anni di seminario. Sarà difficile ricordare qualcuno che citerà i tre anni di Gorle. Se ne sono andati molti degli amici di quei tre anni e quelli che non se ne sono andati hanno dimenticato: esiste un diritto alla dimenticanza, soprattutto quando ci sono di mezzo quasi sessant’anni.  

Per ricordarmi si citeranno chiese restaurate, oratori e cinema rimessi in funzione… Perché le memorie di un prete sono costrette a ricordare come essenziali le cose marginali e come marginali le cose essenziali. Nessuno ricorderà le messe che ho celebrate. Anche perché ne ho celebrate tante. E nessuno ricorderà le parole di consolazione che ho detto. Anche perché le parole di consolazione sono buone se i destinatari hanno provato consolazione e hanno dimenticato le parole. E la consolazione è finita nel fiume enorme della vita, ed è diventato  impossibile raccontarla. Le cose più belle che avrò fatto da prete, dunque, sono quelle che saranno dimenticate, che non si potranno più raccontare. In quel caso, solo in quel caso, la morte è bella, perché è diventata la presa d’atto finale di un atto di donazione. 

E ‘morto anche Gregorio Cividini, scultore

Arrivo a casa e mi dicono che è morto lo scultore Gregorio Cividini. Lo avevo conosciuto personalmente. Aveva scolpito un altare per il santuario del Boldesico, a Grumello del Monte.

Un Crocifisso con una colomba che “lo tira fuori” dal sepolcro

Oggi è proprio la giornata buona.
Sulla mia scrivania ha un suo crocifisso. Bellissimo. Il braccio destro del Crocifisso è come afferrato da uno strano volatile. “E’ la colomba dello Spirito che lo tira fuori dal sepolcro”, mi aveva spiegato lo scultore.


2 Comments

  1. Alessandra ha detto:

    Mi sono imbattuta nel Suo scritto per caso, ma ho molto apprezzato il fatto che, nel suo testo, ricordi Gregorio.
    L’immagine della colomba che “toglie dal sepolcro” mi dà un po’ di speranza, perché nel vuoto che ha lasciato mio zio, ho intravisto un po’ di luce.
    Grazie

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